La magia delle «cose» in Miss Austen Regrets

Per lo Speakers’ Corner dedicato al cinema e alla TV, un contributo di Mara Barbuni su un film dedicato a Jane Austen di tema biografico.

Miss Austen Regrets, il film per la televisione trasmesso da BBC One per la prima volta nel 2008, è un film, come si direbbe in inglese, «poignant». L’idea del rimpianto contenuta già nel titolo si presenta allo spettatore sin dai titoli di testa e rimane viva e presente, come un filo rosso, per tutto l’arco del racconto. È un film molto commovente, perché non solo dà corpo e voce ai rimpianti del personaggio principale, Jane Austen, ma riesce a catturare e a trasformare in immagini anche tutta la lunga e variegata storia dei rimpianti, vividi e riconosciuti oppure segreti, dimenticati e nascosti, di ognuno dei suoi spettatori – di ognuno di noi. L’impressione è che Gwyneth Hughes, la writer, abbia captato la sottile verità che sta dietro all’implacabile passione di moltissimi lettori per Jane Austen: una vena di rimpianto, appunto, per un mondo nel quale non si è potuto vivere ma che, per ragioni misteriose, si tende a giudicare migliore del nostro. Partendo da questa premessa, tutte le teste e le mani che hanno lavorato a questo film sembrano aver contribuito a rendere quel rimpianto concreto, visibile, quasi un «oggetto» percepibile con i sensi.

Il direttore della fotografia (David Katznelson) è il primo responsabile di questo risultato. Benché la prima e l’ultima scena siano notturne, sul cuore del film aleggia una luce dorata e piena, che rende i verdi dei prati ancora più verdi, i mattoni delle case ancora più rossi, i fiori ancora più accesi, e i profili dei visi, spessi colti controluce, quasi eterei, con le linee dei corpi che si mescolano ai contorni del paesaggio.
Schermata 2016-07-04 alle 16_FotorI decoratori, i costumisti, gli scenografi e persino i trovarobe hanno completato il capolavoro. Miss Austen Regrets è un film che va guardato più volte, perché alla seconda o terza «rivisitazione» è possibile concentrarsi sugli oggetti che compongono la scena, sulle minuzie dell’abbigliamento e sui dettagli della visualità – in altre parole, su quei «due pollici d’avorio» così importanti per l’universo austeniano.

I gioielli, ad esempio. I gioielli non sono numerosi, né appariscenti, ma nella scena iniziale a Manydown le due sorelle Austen indossano due collane (Jane con un pendente a cammeo, Cassandra con un motivo di foglie e fiori) che torneranno, entrambe, al collo della loro nipotina Fanny con l’evolversi della storia: queste due collane sono il simbolo di un’eredità tangibile, per cui l’oggetto prezioso si rivela veicolo di sentimenti e di ricordi insopprimibili.

Essendo le donne le protagoniste di questo racconto, anche gli abiti meritano di essere osservati con cura. Il tessuto a righine è ricorrente, intelligente riproposta di una voga dell’epoca; i vestiti chiari di Fanny significano la sua innocenza e il candore della sua giovinezza (il suo ultimo vestito è quello da sposa); di Jane ci colpiscono gli irrinunciabili copricapo e di Cassandra le stoffe chiaramente più spesse e di colori neutri – tessuti adatti per abiti da lavoro. La prima scena che si svolge a Chawton ci mostra le due sorelle intente a preparare i bagagli per il viaggio di Jane a Godmersham: l’occhio della telecamera, che sfiora la trapunta di patchwork sul letto, si sofferma poi su camiciole di cotonina bianca, adornate di pizzo semplice, non elaborato. È qui che compare l’immagine fugace del ramoscello di lavanda, un richiamo da cui chiunque sia stato a Chawton non può che sentirsi attratto.

L’arredamento frugale della stanza di Jane, ben rappresentato dalla triade di oggetti sul balcone – il candeliere, un vaso di fiori e la brocca con il catino – acuisce, per contrasto, il senso di opulenza della residenza del fratello Edward, la casa di Fanny, dove è tutto sontuoso, e dove la scrittrice si ritrova avvolta da carta da parati a motivi preziosi, con «cinque tavoli, ventotto sedie e due caminetti tutti per me» [come si legge nella lettera a Cassandra, del 3 novembre 1813]. Anche durante l’incontro con il bibliotecario del Principe Reggente è il lusso a farla da padrone, soprattutto nei termini dell’infinita serie di libri che si allunga sulle pareti e dei tre volumi più importanti in esposizione (i romanzi pubblicati da Jane Austen fino a quel momento: Sense and Sensibility, Pride and Prejudice e Mansfield Park). L’attrito di questa scenografia con la vita quotidiana di Cassandra è fortissimo: gli oggetti che contraddistinguono la sua esistenza – l’esistenza di una donna votata al servizio – sono i secchi per lavare, gli utensili da cucina e il cibo osservato nei suoi aspetti più crudi, come le interiora del pesce che la vediamo eviscerare (mentre Jane è impegnata in attività più «pulite», come scrivere o scegliere abiti da indossare).

In conclusione, non possono mancare in questo film gli oggetti identitari, la vera «emanazione del Sé» dell’eroina eponima. Vediamo più di una volta un pennino affilato sbucare tra le cose che ingombrano un tavolo. E poi vediamo carta, decine e decine di fogli di carta: epistolari sparsi, biglietti, libri rilegati, manoscritti legati con lo spago, e infine le lettere di Jane, con il sigillo di ceralacca spezzato, che Cassandra getta nel fuoco dopo la morte della sorella. L’ultima immagine di un rimpianto che per molti è vivo ancora oggi.

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7 commenti

  1. Rivedendo questo film, se ne subisce il fascino quasi crepuscolare… in tutti i sensi, sia in senso metaforico che in senso visivo di luci e contrasti di luci ed ombre. Mi rievoca le poesie di Gozzano e Corazzini….
    Si riaccende il desiderio di studio, grazie Mara !

  2. la tua disanima di questo film, Mara, offre nuovi (per me) spunti di riflessione, interessanti interpretazioni e vedute singolari! è stato davvero bello leggerla!

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