Quando Jane Austen marciò per il diritto di voto alle donne

In un ventoso pomeriggio di giugno del 1908, JaneAusten si trovò ad accompagnare le donne che quel giorno diedero vita ad una grande mobilitazione lungo le strade di Londra per chiedere il diritto di voto. Lo fece dall’alto di uno splendido stendardo di seta disegnato, tagliato, cucito e ricamato con il suo nome dalle mani devote e grate delle militanti per il suffragio che l’avevano scelta come nume tutelare, insieme ad altre grandi donne del passato. Partendo dal cammino dei movimenti suffragisti inglesi che portarono a questa memorabile manifestazione e ricordando come Jane Austen ha raccontato la condizione femminile, l’articolo ripercorre questa straordinaria, intensa storia che intreccia diritti civili e letteratura.

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy Due pollici d’avorio, numero 11 (2019) , pagg. 8-17, e riprende ed integra un mio breve post apparso sul blog Un tè con Jane Austen l’8 marzo 2018.
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Fonte dell’immagine in testa all’articolo: womanandhersphere.com


Nell’eterno, acceso dibattito su Jane Austen e il femminismo (e in particolare il suo presunto anti-femminismo), pochi ricordano un fatto di primaria importanza che rivela come le sostenitrici dell’emancipazione femminile nei primi del Novecento si riconoscessero pienamente negli scritti dell’autrice, tanto da innalzarla a nume tutelare della lotta per il riconoscimento sociale e politico della dignità umana delle donne. Si tratta di un evento spartiacque nella storia dell’umanità, che scaturisce dalle iniziative dei movimenti politici che lottavano per l’ottenimento del diritto di voto alle donne.

Pochi sanno, infatti, che Jane Austen partecipò alla grande marcia di Londra delle sostenitrici del suffragio femminile il 13 giugno del 1908. Ovviamente, non di persona, ma come una delle donne eroiche del passato a cui le donne del tempo si ispiravano per le loro lotte di emancipazione dagli schemi antichi e ormai troppo inadeguati della società in cui vivevano, a cominciare da quella per l’ottenimento del diritto di voto, il suffragio femminile appunto – e attraverso di esso, più in generale, il diritto di essere considerate persone, esseri senzienti e cittadine con lo stesso valore e le stesse opportunità degli uomini.

La marcia di protesta di quel giorno è rimasta scolpita nella storia mondiale come una delle pietre miliari della lunga lotta per i diritti umani sul nostro pianeta. E Jane Austen vi prese parte, insieme ad altre grandi madri della letteratura inglese, sfidando la temibile repressione dei poliziotti e la condanna della società: lo fece dall’alto di uno splendido stendardo di seta disegnato, tagliato, cucito e ricamato con il suo nome dalle mani devote e grate delle militanti per il suffragio.

Per raccontare questa intensa, straordinaria storia di donne, diritti civili e letteratura che attraversa i secoli e porta Jane e le sue eroine nel cuore della lotta per il voto alle donne di inizio del Novecento, è necessario ripercorrere il cammino dei movimenti suffragisti femminili inglesi partendo dalla loro fondazione.

L’arte delle donne a servizio della causa

fonte: parliament.uk

La National Union of Women’s Suffrage Societies (NUWSS) era un’organizzazione fondata nel 1897 che raggruppava le diverse associazioni sostenitrici del suffragio delle donne nel Regno Unito. Da essa, nel 1903, un gruppo di militanti che sosteneva la necessità irrimandabile di azioni più incisive si staccò per fondare la Women’s Social and Political Union (WSPU), un movimento esclusivamente femminile capitanato da Emmeline Pankhurst. A differenza di questa seconda associazione, la originaria NUWSS seguì sempre una linea di protesta pacifica e aperta anche al sostegno militante di molti uomini.
All’inizio, le militanti e sostenitrici di questa causa politica erano chiamate correttamente suffragists, suffragiste. Il termine suffragettes, suffragette, oggi comunemente utilizzato per indicare indifferentemente tutte le donne impegnate in questa causa, fu coniato nel 1906 da un giornalista del Daily Mail con l’intento dispregiativo di deridere e stigmatizzare in particolare le socie della WSPU, le cui azioni dimostrative erano più eclatanti e sovversive e facevano grande scalpore presso l’opinione pubblica che leggeva i titoloni dei giornali: le suffragettes si incatenavano ai cancelli dei luoghi del potere, incendiavano cassette postali, infrangevano vetrine e finestre, e durane queste azioni venivano picchiate dai poliziotti e arrestate. Le cronache raccontavano soprattutto lo sciopero della fame che le militanti intraprendevano puntualmente appena venivano incarcerate, pur sapendo che avrebbero subito un’orribile tortura, l’alimentazione forzata.
Tutte, suffragists e suffragettes, continuarono la loro lotta, ognuna sui propri fronti e con i metodi che ritennero più opportuni.

La prima grande dimostrazione pubblica della NUWSS fu organizzata il 9 febbraio del 1907: si trattava di una grandiosa marcia di protesta a cui presero parte oltre tremila donne, che si tenne in condizioni meteorologiche estreme sotto una pioggia incessante e lungo le strade di Londra invase dal fango – tanto che tra le stesse partecipanti venne in seguito chiamata Mud March, la marcia nel fango, ed è così che è passata alla storia.
I colori bianco e rosso (che, con il verde, erano distintivi della NUWSS) erano ricorrenti nell’abbigliamento delle partecipanti e sugli alti stendardi di seta bianca ricamati a lettere rosse che si stagliavano sul grigio del cielo e delle strade londinesi. A organizzare questo importante aspetto della comunicazione fu un’associazione, la Artists’ Suffrage League (ASL), la lega delle artiste per il suffragio, fondata da Mary Lowndes (una grande artista del vetro colorato) appositamente per produrre gli stendardi, le decorazioni per gli abiti, i volantini e le locandine da usare durante la manifestazione.

Mary Lowndes – fonte: npg.org.uk

Quel giorno, il pessimo tempo non fermò nemmeno gli spettatori, che assiepavano le strade assistendo a quello strano, inedito, coloratissimo spettacolo di educazione civica. L’obiettivo di portare l’attenzione dei politici, della stampa e di conseguenza dell’opinione pubblica sul tema e sulla quantità di persone che ne sostenevano la bontà fu raggiunto.

Nell’aprile dell’anno successivo, il 1908, però, le speranze appena accese sembrarono svanire per sempre perché il nuovo primo ministro, il liberale Asquith, di fatto bloccò l’ennesimo tentativo di far passare una legge a favore del voto alle donne dichiarando di aver bisogno di una prova inconfutabile che il movimento per il suffragio femminile era sostenuto da un vasto numero di donne in tutto il regno.
Questa dichiarazione fu l’involontario ma potentissimo detonatore della risposta dei movimenti, che non si fece attendere. La WSPU scelse il 21 giugno per organizzare una protesta a Hyde Park (che sarebbe passata alla storia come il Woman’s Sunday), mentre la NUWSS mise in cantiere un’altra grande marcia per il sabato precedente, il 13.

In marcia con le pioniere dell’emancipazione femminile

Accanto all’intensa mobilitazione di tutti i circoli sparsi per il regno, per i quali si sarebbero organizzati treni speciali per portare le donne a Londra il giorno 13, anche la ASL si mise all’opera per creare i mezzi più idonei a sostenere il messaggio a favore del suffragio femminile durante la manifestazione. Tra le tante opere (manifesti, cartoline, volantini, coccarde, ecc.), Mary Lowndes diede impulso alla produzione di nuovi, numerosi, eclatanti stendardi, originali e sempre rigorosamente eseguiti dalle abili mani delle militanti.

fonte: womanandhersphere.com

Alla testa del corteo sarebbe stato issato lo stendardo della NUWSS. E poiché era necessario dare un colpo d’occhio immediato della massiccia presenza di donne da ogni parte del regno, furono disegnati e creati stendardi per ogni circolo e ogni contea di provenienza delle partecipanti ma anche per chi proveniva dall’Irlanda, la Scozia, e persino da altri paesi europei, dall’America e dall’Australia. Non solo.

L’8 maggio uscì un annuncio sul Times che chiamava a raccolta tutte le donne che, per il loro lavoro, avrebbero potuto marciare in gruppi distinti sotto gli stendardi rappresentativi della loro professione: insegnanti, accademiche, artiste, musiciste, scrittrici, donne d’affari (women in business), infermiere, dottoresse, politiche, sindacaliste, e così via. Questo folto gruppo di donne avrebbe costituito il secondo distaccamento della manifestazione.
Tra loro, il gruppo considerato più attivo nella battaglia per il diritto di voto era quello delle scrittrici, organizzate nella Women Writers’ Suffrage League, la lega delle scrittrici per il suffragio. Il loro bellissimo, sontuoso stendardo era di velluto nero e crema, e raffigurava un’aquila.

fonte: womanandhersphere.com

Questo gruppo decise di preparare ed esporre altri nuovi, sfolgoranti stendardi che fecero scalpore tra gli spettatori e i giornalisti: vi erano indicati i nomi di grandi autrici del passato, evidentemente considerate pioniere e ispiratrici dell’emancipazione femminile attraverso le loro opere letterarie e portate in “battaglia” come protettrici e condottiere. Tra queste, Maria Edgeworth, Fanny Burney, Charlotte ed Emily Bronte, e Jane Austen.

fonte: vads.ac.uk

Sul raso di seta color crema dello stendardo a lei dedicato, spiccavano le lettere del suo nome dipinte in nero e arancione, e le applicazioni arancioni e crema raffiguranti il libro aperto e la penna, le corde e le frange di seta gialla e arancione.

A loro, seguiva il gruppo delle “Great Women of the Past”, le grandi donne del passato, tra cui la regina guerriera Boadicea, Giovanna d’Arco, Santa Caterina da Siena (ritenuta una delle prime donne a occuparsi di politica), Mary Wollstonecraft e le regine inglesi Elisabetta I e Vittoria.

In totale, pare che gli stendardi creati e usati quel giorno fossero quasi un migliaio. La maggior parte furono disegnati da Mary Lowndes e tutti furono prodotti a mano dalle attiviste, che erano solite riunirsi per lavorare agli stendardi nella casa della fondatrice, i Brittany Studios al 259 di King’s Road a Londra. Questi semplici manufatti avrebbero avuto un ruolo determinante nel colpire l’attenzione dell’opinione pubblica in modo durevole ed efficace.

fonte: vads.ac.uk

Il 13 giugno del 1908, a partire dal primo pomeriggio, una foresta ondeggiante di svettanti stendardi colorati e sontuosi si mosse come un fiume placido ma irrefrenabile dall’Embankment fino alla meta finale, la Royal Albert Hall. La sfilata delle oltre 10.000 attiviste (un numero enorme, per quei tempi) fece grande scalpore sulla stampa e tra la gente comune ma, nonostante i numeri parlassero da soli e malgrado i riconoscimenti positivi, il Primo Ministro non fece alcuna dichiarazione in merito.
Anche la manifestazione del 21 giugno della WSPU, che riuscì a raccogliere il numero astronomico e senza precedenti di oltre 250.000 persone a Hyde Park, non sembrò ottenere alcun risultato immediato.

La strada verso il riconoscimento del diritto di voto alle donne sarebbe stata ancora lunga e costellata di lotte e sacrifici. Sarà solo dieci anni dopo questi eventi che sarà ottenuto un primo grande risultato, anche se molto parziale: nel 1918, infatti, una legge diede il diritto di voto alle donne oltre i 30 anni (e oltre i 21 se proprietarie della casa di famiglia o mogli di proprietari di case), che nel 1928 sarà esteso a tutte le donne oltre i 21 anni, e con gli stessi termini riconosciuti agli uomini.

Le parole di Jane Austen sulla condizione femminile

Questa storia contrasta e smentisce il pregiudizio che considera Jane Austen anti-femminista, paladina del ruolo gregario delle donne, condannate alla sola carriera del matrimonio (possibilmente di grande convenienza), e addirittura autrice di romanzi rosa: la scelta delle sostenitrici del diritto di voto alle donne del 1908 dimostra ancora una volta e in modo inconfutabile come questa grande autrice fosse già all’epoca considerata un nume tutelare della battaglia per il diritto di voto e, più in generale, per l’emancipazione delle donne dagli schemi rigidi della società patriarcale in nome dell’affermazione del proprio valore come persona.

Capire le motivazioni che hanno determinato questa vera e propria investitura femminista nel 1908 significa tornare, come sempre, alle parole stesse di Jane Austen. Ma si deve evitare di cercarne di esplicite sui temi dell’emancipazione femminile nelle sue opere, nelle sue lettere o più in generale nella sua vita di donna e autrice: non le troverete. Eppure, ci sono. Miss Austen è un’artista nell’essere esplicita senza esserlo affatto, o meglio, nel colpire il bersaglio in una maniera chirurgica e disinvoltamente obliqua.

Mary Wollstonecraft, di John Opie (c. 1797) – fonte: National Portrait Gallery

Possiamo non sapere se abbia letto la Vindication of the Rights of Woman (Rivendicazione dei diritti della donna) di Mary Wollstonecraft, pubblicato nel 1792 quando Jane era una giovane donna di diciassette anni, e che cosa ne pensasse. Ma sappiamo per certo che era abituata a leggere di tutto, dai libri ai giornali, e a prestare attenzione al dibattito culturale e politico del suo paese, e che nella ricca biblioteca di suo padre, a cui aveva libero accesso, era venuta in contatto con quelle tesi poiché c’era una copia di Hermsprong di Robert Bage, un romanzo filosofico del 1796 che riprendeva le idee di Mary Wollstonecraft.

E soprattutto sappiamo che nelle sue opere Jane Austen racconta la propria realtà in modo diretto ma obliquo, appunto, e splendidamente concreto, attraverso le situazioni o le dichiarazioni delle sue eroine. Gli esempi sono innumerevoli e inconfutabili, in entrambi i casi.

Per le situazioni, basti considerare l’improvvisa povertà in cui vengono gettate le Dashwood di Sense and Sensibility (Ragione e sentimento) alla morte del capofamiglia perché, in quanto donne, non possono ereditare (né lavorare per mantenersi da sole). Oppure, l’ossessione di Mrs Bennet per il matrimonio delle sue cinque figlie senza dote, in Pride and Prejudice (Orgoglio e pregiudizio) non è soltanto un’ansia materna e romantica di vedere la proprie creature felicemente accasate ma risponde all’esigenza pragmatica di sapere che non moriranno di fame e di stenti quando l’intero patrimonio di famiglia, casa compresa, passerà al tremendo cugino Mr Collins (solo in virtù del proprio essere nato dalla parte biologicamente giusta dell’asse ereditario). E ancora, la resa di Charlotte Lucas al suddetto “insposabile” cugino dei Bennet è dettata dalla necessità di sfuggire a un destino di zitella e quindi di sicura povertà.

Per quanto riguarda le dichiarazioni rivelatrici, si va dai tanti, importanti “no” che le protagoniste pronunciano contro le imposizioni della cultura maschile dominante (basti pensare all’ardimento del grande rifiuto della miserrima Fanny Price a sposare il ricco e sfrontato Henry Crawford in Mansfield Park), alle frasi fulminanti che sono vere dichiarazioni d’intenti individuali – e in questo senso si può davvero pescare una frase a caso dal vasto repertorio dell’intraprendente Elizabeth Bennet in Pride and Prejudice (Orgoglio e pregiudizio), come ad esempio dal capitolo 31 [1]:

“In me c’è un’ostinazione che non sopporterà mai di essere intimorita dalla volontà degli altri. Il mio coraggio cresce sempre, a ogni tentativo di intimidirmi”.

Questa frase suona come sorprendentemente rivoluzionaria, se non addirittura sovversiva, se si considera il contesto in cui viene pronunciata da Elizabeth Bennet, giovane donna squattrinata e di classe sociale inferiore: la fanciulla si trova ospite a Rosings, nella sontuosa dimora di Lady Catherine De Bourgh, ricca aristocratica, e sta dialogando con niente meno che il nipote di lei, Mr Fitzwilliam Darcy, ricco, bello, altolocato anche se non nobile, e uomo, quindi perfetto rappresentante del non plus ultra della società dell’epoca e di conseguenza di tutto ciò a cui chiunque, soprattutto Miss Bennet, deve inchinarsi. Più che una dichiarazione, la frase di Lizzy qui sembra un vero grido di battaglia per il rispetto della dignità umana delle donne.

Il Cap. Harville e Anne in Persuasione, di R. Michell, 1995

Infine, è inevitabile ricordare le parole che si scambiano Anne Elliot e il Capitano Harville nel cap. 23 di Persuasion (Persuasione), un vero e proprio dialogo filosofico sulla differenza di genere di incredibile modernità, che è l’apoteosi di tutto il percorso letterario di Jane Austen sull’emancipazione femminile, e il suo scritto più esplicito sull’argomento. È sufficiente leggerne alcuni estratti per capire quanto l’autrice, nella piena maturità come donna e come artista, fosse così lungimirante da vedere con chiarezza e raccontare con semplicità millenni di dinamiche sociali tra uomini e donne. “Senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche”, come assai opportunamente ebbe a dire di lei Virginia Woolf in A Room of One’s Own (Una stanza tutta per sé) [2].

Il primo estratto riguarda la questione delle prove letterarie a sfavore delle donne, sostenuta dal Capitano Harville.

“[…] fatemi dire che tutte le cronache sono contro di voi, tutte le storie, in prosa e in versi. Se avessi la memoria di Benwick, potrei fornirvi al momento cinquanta citazioni a favore della mia tesi, e non credo di aver mai aperto un libro in vita mia che non avesse qualcosa da dire sull’incostanza delle donne. Canzoni e proverbi, tutto parla della volubilità delle donne. Ma forse direte che sono tutte cose scritte da uomini”.
“Forse sì. Sì, sì, per favore, nessun riferimento a esempi dai libri. Gli uomini hanno tutti i vantaggi su di noi nel raccontare la storia a modo loro. L’istruzione è stata sempre appannaggio loro a un livello così tanto più alto; la penna è stata in mano loro. Non ammetto che i libri dimostrino qualcosa”.

Il secondo è una condanna dei pregiudizi sociali.

“Ma allora come si può dimostrare qualcosa?”
“Non si può. Non ci si deve mai aspettare di dimostrare qualcosa su un punto del genere. È una diversità di opinioni che non ammette prove. Ognuno di noi comincia probabilmente con un piccolo pregiudizio a favore del proprio sesso, e su questo pregiudizio costruisce tutte le circostanze a favore di esso che si sono verificate nella propria cerchia; molte di queste circostanze (forse proprio quei casi che ci hanno colpito di più) possono essere proprio quelle che non si possono rivelare senza tradire una confidenza, o dicendo in qualche modo quello che non dovrebbe essere detto”.

Il terzo, infine, è una richiesta di rispetto reciproco per le differenze di genere, che pure esistono.

“Vi credo all’altezza di qualsiasi sforzo importante, e di qualsiasi sopportazione domestica, a condizione… se mi permettete l’espressione, a condizione che abbiate un obiettivo. Intendo dire, fino a quando la donna che amate vive, e vive per voi. Tutto il privilegio che reclamo per il mio sesso (non è un privilegio invidiabile, non avete bisogno di agognarlo) è quello di amare più a lungo, quando l’esistenza o la speranza sono svanite”.

In un’epoca in cui i ruoli sociali dell’uomo e della donna erano definiti da schemi intoccabili e a compartimenti stagni, nonché contrapposti, ben più rigidi di quanto non lo siano ancora oggi, Jane Austen si rivela essa stessa donna antitetica al modello femminile predefinito e approvato – fuori età massima, nubile, di classe media, assai meno che benestante, per di più scrittrice (anche se anonima) con la fissazione di mantenersi da sola – che non teme di lasciare le briglie sciolte alla sua intelligenza e sensibilità per raccontare la condizione femminile e rivendicare il diritto di essere riconosciuta come creatura senziente, per sé e per tutte le donne, anche quelle di domani.

Questo avevano visto le sostenitrici del suffragio femminile che la scelsero come compagna di strada nella marcia verso l’autodeterminazione in quel pomeriggio di giugno del 1908. Jane Austen era, allora come oggi, “più moderna di ogni moderno”, così lungimirante da essere più avanti, assai più avanti di noi, donne e uomini del XXI secolo, che abbiamo ancora bisogno di un 8 marzo e di una Giornata Mondiale delle Donne per riflettere sul ruolo e il destino delle donne nella società moderna.

Dove si trovano gli stendardi oggi

L’importante archivio della Artists’ Suffrage League, con quanto creato da Mary Lowndes, è oggi conservato alla Women’s Library della London School of Economics, mentre alcuni stendardi sono di recente entrati a far parte della collezione del Museum of London, uno splendido museo multimediale sulla storia della capitale britannica dove un settore importante è dedicato alla storia delle donne che fecero l’impresa e dove fino al marzo 2019 è stata in esposizione una mostra tematica sul tema “Votes for Women” (Voti alle donne).


Nota bibliografica

Il dibattito su Jane Austen e il femminismo ha prodotto e continua a produrre da decenni molto materiale. Per la panoramica sulla storia dei movimenti suffragisti  ho utilizzato fonti enciclopediche generaliste gratuite ma, per dettagli più approfonditi su di essi e in particolare per la vicenda degli stendardi creati e usati dalle partecipanti alla grande manifestazione londinese del 13 giugno 1908 e il contesto in cui si inseriscono, ho scelto di attingere a una fonte primaria e specializzata, ovvero l’illuminante e curatissimo saggio An army of banners – Designed for the NUWSS Suffrage Procession 13 June 1908 che la storica e scrittrice britannica Elizabeth Crawford (un nome molto austeniano, peraltro!) ha pubblicato sul suo sito Woman and her sphere, alla luce della sua approfondita ricerca nel campo dei movimenti suffragisti inglesi che la rende un’esperta di riferimento per questo tema. A lei va il mio personale ringraziamento per aver reso disponibile al pubblico una tale fonte di informazioni preziose.


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NOTE

[1] Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio. Qui e in seguito, dove non altrimenti specificato, le citazioni dalle opere di Jane Austen sono di Giuseppe Ierolli e tratte dal suo sito jausten.it
[2] Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Einaudi, 1995, p. 139 (trad. it. Maria Antonietta Saracino).

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