Non sono romantica, lo sai. Non lo sono mai stata.

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 12 (2020), pagg. 32-43. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

Nell’immagine di apertura: Charlotte Lucas (Claudie Blakley, Pride and Prejudice 2005, Joe Wright


Le parole che Charlotte Lucas rivolge alla sua amica Elizabeth nel capitolo 22 di Orgoglio e pregiudizio spiegano con semplicità, ma con estrema chiarezza, la sua decisione di accettare la proposta di matrimonio di Mr. Collins. Un esempio della ragionevole concretezza che percorre l’opera di Jane Austen, nonché molta della sua vicenda biografica.

Il termine «romantico» si presta a definizioni abbastanza diverse l’una dall’altra, talvolta anche molto lontane tra loro. Si passa da uno Sturm und Drang di teutonica memoria a un sentimentalismo che sfocia spesso nel genere rosa, da un anelito alla libertà byroniano a un tumulto interiore alla Čajkovskij, da un intimismo che diventa via via decadentismo a una pittura visionaria alla Turner e così via.
In questo brano Austen usa il termine «romantic» nell’accezione più comune, quella che viene accostata a una visione del mondo vicina ai desideri nutriti da ciascuno di noi, che raramente trovano poi riscontro nella realtà, se non in modo molto parziale. Difficile trovare una donna che si lanci con trasporto nelle braccia di un Mr. Collins, ma è altrettanto difficile trovare un marito che somigli a un Mr. Darcy. Charlotte Lucas ha un’età che preannuncia un imminente ingresso nel novero delle zitelle che faranno molta fatica a trovare un marito, sa che diventerà quasi sicuramente un peso per la sua famiglia, e quindi non ha esitazioni ad accettare colui che l’amica ha invece rifiutato senza pensarci nemmeno un istante.
Ovviamente, l’unione matrimoniale che tutti si augurano è quella in cui oltre alla sicurezza economica sia presente anche l’amore, come ci dice la stessa Austen in una sua lettera:

ma ritengo che chiunque abbia diritto almeno una volta nella vita a sposarsi per Amore, se può[1]

anche se l’affermazione è un po’ stemperata da quel «se può» finale. Ma queste due condizioni hanno un’importanza paritaria? Nei romanzi austeniani sembra di no. Nel caso di Charlotte Lucas la vita matrimoniale descritta nel seguito del romanzo sembra essersi incamminata in un binario che non promette certo scintille di passione ma non ha nemmeno aspetti intollerabili. Nel caso invece di un’unione che si potrebbe definire «romantica» nell’accezione appena descritta, come quella di Mrs. Price in Mansfield Park, sembra proprio che la passione iniziale non sia riuscita a superare le difficoltà economiche.
Quale che sia la definizione che ci viene in mente di volta in volta pensando al romanticismo, se proviamo a collegarla a Jane Austen ci accorgiamo di non riuscire mai a stabilire un nesso plausibile con una qualsiasi delle sue opere, a meno di non ricorrere a un significato molto esteso, che comprenda qualsiasi vicenda in cui si parla più o meno direttamente di sentimenti, e in particolare di amore.
La lontananza di Jane Austen dal romanticismo, le radici delle sue opere in un Settecento ben piantato nel terreno di un razionalismo che, pur lasciando spazio ai sentimenti individuali, non li fa mai diventare il motore principale dell’azione, emerge, per esempio, dai numerosi e ripetuti riferimenti al denaro, alle rendite, ai patrimoni, alle doti delle ragazze nubili, e all’importanza di tenere conto delle necessità pratiche, anche in personaggi che sembrano pensare soltanto a quelle che Lady Susan nel romanzo omonimo chiama «sciocchezze romantiche» (lettera 25). Basti pensare al botta e risposta tra Elinor e Marianne in Ragione e sentimento, quando la prima costringe la seconda a dichiarare inconsapevolmente quanto sia importante una buona rendita per la felicità domestica:

“Che cosa hanno a che fare la ricchezza o la grandezza con la felicità?” esclamò Marianne.
“La grandezza poco”, disse Elinor, “ma la ricchezza ha molto a che fare con la felicità.”
“Elinor, vergognati!” disse Marianne, “il denaro può dare la felicità solo quando non c’è altro a darla. Al di là della sussistenza, non può apportare nessuna reale soddisfazione, fino a quando è fine a se stesso.”
“Forse”, disse Elinor, sorridendo, “stiamo dicendo la stessa cosa. La tua sussistenza e la mia ricchezza sono molto simili, credo; e senza di loro, per come va ora il mondo, ci troveremo d’accordo che mancherebbe ogni genere di benessere esteriore. Le tue idee sono solo più nobili delle mie. Vediamo, a quanto ammonterebbe la tua sussistenza?”
“Più o meno milleottocento, duemila sterline l’anno, non più di questo.”
Elinor scoppiò a ridere. “Duemila l’anno! La mia ricchezza ammonta a mille! Lo sapevo che sarebbe andata a finire così.”
“Eppure duemila l’anno è un’entrata molto modesta”, disse Marianne. “Una famiglia non può vivere bene con un’entrata più bassa. Sono certa di non essere esagerata nelle mie esigenze. Un appropriato numero di domestici, una carrozza, forse due, e cavalli da caccia, non potrebbero essere mantenuti con meno.”[2]

Questa caratteristica delle opere austeniane fu colta da molti critici letterari già nel corso dell’Ottocento, quando Jane Austen non aveva certo la fama di cui godrà in seguito, ma attirava comunque l’attenzione di molti lettori. Anche quando l’autrice era ancora in vita, questa lontananza dal romanticismo è testimoniata, per esempio, dalle parole usate da John Murray, l’editore di Emma, in una lettera in cui chiedeva a Walter Scott una recensione per la rivista letteraria di sua proprietà, la Quarterly Review:

Avete per caso voglia di buttare giù un articolo su “Emma”? Le mancano azione e romanticismo, non è vero? Nessuno degli altri romanzi dell’autrice è stato recensito, e sicuramente “Pride and Prejudice” merita i massimi elogi.[3]

Ci sono diversi esempi di critica ottocentesca che mette in luce questo aspetto. Ne cito qualcuno, a partire proprio dalla recensione di Scott a Emma:

Walter Scott

Tutto sommato, le opere di questa autrice di romanzi hanno con quelle di stampo sentimentale e romantico la stessa relazione che campi di grano, cottage e prati hanno con i giardini ben curati di una dimora di rappresentanza, o con la severa grandezza di un paesaggio montano. Non sono né affascinanti come i primi, né maestosi come il secondo, ma forniscono a coloro che li attraversano un piacere molto vicino alle esperienze delle loro abitudini sociali; e, cosa di notevole importanza, il giovane viandante può tornare dalla sua passeggiata alle ordinarie faccende della vita, senza nessuna possibilità che gli giri la testa al ricordo delle scene attraverso le quali ha girovagato.[4]

Parole non molto diverse da quelle scritte da Charlotte Brontë in una lettera del 12 gennaio 1848 a George Lewes, che le aveva consigliato di leggere Orgoglio e pregiudizio:

Charlotte Bronte

Perché vi piace così tanto Miss Austen? Su questo sono perplessa.
Che cosa vi ha indotto a dire che avreste preferito scrivere “Orgoglio e pregiudizio” o “Tom Jones” più di uno qualsiasi dei romanzi di Waverley?
Non conoscevo “Orgoglio e pregiudizio” prima di aver letto quella vostra frase, e allora mi sono procurata il libro e l’ho studiato. E che cosa ci ho trovato? Un accurato e minuzioso ritratto di un volto ordinario; un giardino ben recintato e accuratamente coltivato, con confini ben delimitati e fiori delicati – ma nessun accenno a una fisionomia brillante, vivida – niente spazi sconfinati – niente aria aperta – nessuna collina azzurra – nessun torrente impetuoso. Non mi piacerebbe certo vivere con le sue dame e gentiluomini nelle loro case eleganti ma limitate. Queste osservazioni probabilmente vi irriteranno, ma correrò il rischio.[5]

Gli spazi sconfinati, i torrenti impetuosi citati da Brontë rispecchiano pienamente la sua visione letteraria, e, pur nel giudizio negativo alla base del brano, le sue parole sono una descrizione molto precisa di una visione diametralmente opposta, anche se non mancano analogie tra le due scrittrici, per esempio nella concezione del posto della donna nella società.
George Lewes, il destinatario della lettera appena citata, scrisse un saggio molto articolato sui romanzi di Austen, dove ci sono diversi riferimenti al rapporto tra Austen e il romanticismo, come in questo brano:

Ha poca o nessuna simpatia con ciò che è pittoresco o passionale. Questo le impedisce di raffigurare quello che vede lo sguardo popolare, e quello che sente il cuore popolare. Le lotte, le ambizioni, gli errori e i peccati di una vita animata sono lasciati da parte, e questi sono argomenti che suscitano di più la simpatia generale. Ad altri scrittori sono mancati questi elementi di popolarità, ma sono stati compensati da una maggiore presenza dell’avventura, del romantico e del pittoresco, insieme alla capacità di rappresentarli. Passione e avventura sono fonti sicure di successo nelle masse. La passione può essere ritenuta volgare, il romanticismo ridicolo, ma ci sarà sempre un’ampia maggioranza le cui emozioni saranno risvegliate anche dalla più volgare delle croste.[6]

Dopo aver citato la maggiore delle sorelle Brontë non si può fare a meno di pensare a un brano molto divertente di un pronipote di Jane Austen: Lord Brabourne, ovvero Edward Hugessen Knatchbull-Hugessen, figlio di Fanny Austen, a sua volta figlia del fratello ricco della scrittrice, Edward. Nell’antologia delle lettere da lui curata nel 1884, con una parte biografica molto corposa che permette di inserire a pieno titolo il volume tra i cosiddetti «memoir familiari», troviamo infatti queste parole:

Lord Brabourne

Ho già confessato la mia preferenza per “Jane Eyre” e “Villette”, e per questi libri, così come per l’autrice, dichiaro nuovamente la mia ammirazione. Ma sono libri che Jane Austen non avrebbe mai potuto, né voluto, scrivere, e alcuni dei personaggi più interessanti sono tali che non le sarebbe mai venuto in mente di idearli. Non le sarebbe mai potuto succedere, per esempio, di far diventare un eroe un uomo come Mr. Rochester, che, dopo essere stato così sfortunato da prendere per moglie una pazza, ritiene perfettamente legittimo prenderne una seconda mentre la prima è ancora viva, senza accennare minimamente alla vittima designata come stesse veramente la faccenda. Né, con tutta probabilità, avrebbe mai pensato di permettere alla suddetta vittima di continuare a provare un amore devoto per l’uomo che aveva tentato di ingannarla in quel modo, tanto da indurla a tornare, dopo un conveniente intervallo di tempo, per un ultimo sguardo alla dimora nella quale era stato così proditoriamente perpetrato l’inganno, e, dopo aver scoperto che la dimora e la moglie pazza erano opportunamente bruciate insieme, e l’aspirante bigamo storpiato e accecato dallo stesso fausto evento, di tornare amorevolmente da lui e sposarlo come se non fosse successo nulla di particolare.[7]

Evidentemente il pronipote aveva ereditato qualcosa dell’arguta ironia della prozia, vista la caustica leggerezza delle sue considerazioni.
Ma se ci rivolgiamo direttamente alle opere di Jane Austen (non all’epistolario, dove la parola «romantic» non appare mai), che cosa ci troviamo riguardo al tema di questo articolo? Ci troviamo molti accenni, di diversa natura e interessanti per avere elementi di prima mano sull’argomento e sui diversi aspetti che il «romanticismo» assumeva agli occhi dell’autrice.
Ci sono richiami al romanticismo dei luoghi naturali:

La nostra casa era situata in una delle zone più romantiche della Valle dell’Usk. (Juvenilia – Amore e amicizia, lettera 3)

Stabilii la mia Residenza in un romantico Villaggio delle Highlands scozzesi (Juvenilia – Amore e amicizia, lettera 15)

Pinny, con le sue verdi voragini tra romantiche rocce (Persuasione, capitolo 11)

indicando l’angolo di un lindo cottage, che si poteva vedere in posizione romantica in mezzo al bosco su un’altura a poca distanza. (Sanditon, capitolo 1)

All’amore romantico, dell’adolescenza ma anche oltre:

e spero che non mi considererete una ragazzina romantica (Juvenilia – Leslie Castle, lettera 8)

e che dovessero avere un’analoga influenza sulla Nipote che aveva un’immaginazione vivace, un’Indole romantica (Juvenilia – Catharine, ovvero la pergola

devo ammettere di essere alquanto romantica sotto questo aspetto, e che la Ricchezza da sola, non mi avrebbe appagata. (Lady Susan, lettera 2)

Comunque sia, Frederica è di nuovo sulle mie spalle, e non avendo nient’altro da fare, è impegnata a proseguire i suoi piani di amore romantico iniziati a Langford. (Lady Susan lettera 19)

è sicuramente mio dovere scoraggiare simili sciocchezze romantiche. (Lady Susan, lettera 25)

Lascia quindi che Frederica si punisca da sola per la pena che ti ha dato, abbandonandosi a quelle smancerie romantiche che la renderanno di sicuro sempre infelice; (Lady Susan, lettera 26)

Non sono romantica, lo sai. Non lo sono mai stata. (Orgoglio e pregiudizio, capitolo 22)

Al contrasto tra la realtà e la tendenza a immaginare o rendere meno spiacevoli certi giudizi:

Senza essere preda di nessun timore romantico, per il lungo e solitario viaggio della figlia (L’abbazia di Northanger, capitolo 29)

Non ci si poteva certo aspettare una romantica delicatezza da parte sua [Sir Thomas Bertram]. (Mansfield Park, capitolo 33)

Capiva il loro modo di vivere, teneva conto della loro ignoranza e delle loro tentazioni, non aveva romantiche aspettative che in loro emergessero virtù straordinarie, visto che l’educazione aveva fatto così poco; (Emma, capitolo 10)

Quei sentimenti non erano il risultato di uno spirito romantico, da parte di Charlotte. No, era una signorina molto assennata, sufficientemente esperta di romanzi per far sì che la sua immaginazione ne traesse divertimento, ma senza che ne fosse assolutamente influenzata in modo irragionevole; (Sanditon, capitolo 6)

Ma, come c’era da aspettarsi, il maggior numero di riferimenti lo troviamo in Ragione e sentimento, dove la «sensibility» del titolo ha molto a che vedere con un romanticismo dapprima preso di mira dall’autrice con giudizi molto taglienti sul carattere di Marianne Dashwood, un giudizio negativo che però viene man mano attenuato nello svolgersi della trama, fino ad arrivare a una sorta di unione di due sentimenti che sembrano opposti e incompatibili ma che in realtà, e nella realtà, diventano complementari, visto che nessuno dei due basta interamente a se stesso.

Marianne Dashwood e il colonnello Brandon (Charity Wakefield e David Morrissey, Sense and Sensibility, miniserie BBC 2008)

Questo graduale cambiamento del giudizio su Marianne viene in un certo senso confermato da una delle frasi più famose dell’ultimo romanzo completo, Persuasione, concluso nel 1816, ovvero cinque anni dopo la pubblicazione di Ragione e sentimento e circa venti dalla prima stesura con il titolo Elinor and Marianne:

In gioventù era stata costretta alla prudenza, da adulta aveva imparato ad amare con passione; la naturale conseguenza di un inizio innaturale. (Persuasione, capitolo 4)

Qui è come se l’autrice, arrivata ai quarant’anni, volesse rivalutare la giovanissima Marianne dei suoi vent’anni, dandole atto che amare con passione (nell’originale «she learned romance») a sedici anni (diciannove per Anne Elliot) è qualcosa di assolutamente naturale, e semmai a quell’età la cosa innaturale è essere costretti alla prudenza.
Ma torniamo a Ragione e sentimento. Nel primo capitolo il termine «romantic» viene prima associato a Mrs. Dashwood, in relazione al disgusto che prova di fronte all’atteggiamento della moglie del figliastro:

Nessuno poteva eccepire sul suo diritto di venire, la casa era del marito una volta morto il padre, ma la mancanza di tatto della sua condotta era così enorme, e nei confronti di una donna nella situazione di Mrs. Dashwood, che il senso comune l’avrebbe ritenuta molto sgradevole; ma nella mente di quest’ultima c’era un senso dell’onore così acuto, una generosità così romantica, che un’offesa del genere, da chiunque inferta o subita, era fonte di inesauribile disgusto.

Subito dopo le due figlie minori sono associate al romanticismo della madre, in una sorta di influenze ereditarie a cascata:

[Marianne] Era sensibile e intelligente, ma impaziente in tutto; le sue pene, le sue gioie, non potevano essere moderate. Era generosa, amabile, interessante, tutto meno che prudente. La somiglianza tra lei e la madre era straordinaria.

Margaret, la terza sorella, era una ragazza sempre di buon umore e ben disposta, ma dato che aveva già assimilato un buon numero delle romanticherie di Marianne, senza avere il suo buon senso, non prometteva, a tredici anni, di riuscire a eguagliare le sorelle nel corso della sua vita futura.

Per quanto riguarda Marianne, oltre alle molte parti del romanzo in cui viene messa in luce la sua «sensibility», troviamo due volte il termine «romantic», entrambe nel capitolo 11 durante una conversazione tra Elinor e il colonnello Brandon, che confessa il suo amore perduto con una donna che aveva molti punti di contatto con la co-eroina del romanzo:

Lui aveva gli occhi fissi su Marianne, e, dopo un silenzio di alcuni minuti, disse, con un debole sorriso, “Vostra sorella, da quanto ho capito, non approva un secondo innamoramento.”
“No”, rispose Elinor, “ha idee del tutto romantiche.”
” […] un cambiamento totale di sentimenti… no, no non lo si può auspicare, perché quando le romantiche distinzioni di una mente giovane sono costrette a dileguarsi, sono spesso sostituite da opinioni fin troppo comuni, e troppo pericolose! Parlo per esperienza. Una volta conoscevo una signora che nel temperamento e nella mentalità era molto simile a vostra sorella, che pensava e giudicava come lei, ma che a causa di un cambiamento forzato… di una serie di sfortunate circostanze…”

L’ultima volta in cui incontriamo «romantic» nel romanzo è nel capitolo 16, sempre in relazione a Mrs. Dashwood:

il normale buonsenso, la normale cautela, la normale prudenza, scomparivano di fronte alla romantica delicatezza di Mrs. Dashwood.

È la stessa «romantic delicacy» che abbiamo incontrato in Mansfield Park, solo che lì era qualcosa che mancava decisamente a Sir Thomas Bertram, mentre qui la presenza preponderante di questo sentimento nell’animo di Mrs. Dashwood le impedisce persino di provare a chiedere qualcosa a Marianne sul suo rapporto con Willoughby:

“[…] Non voglio cercare di forzare la confidenza di nessuno; meno che mai di una figlia; perché il senso del dovere le impedirebbe quel rifiuto che potrebbe invece essere nei suoi desideri.”

In conclusione, rendendo omaggio a un realismo austeniano che non ama giudizi perentori, potremmo dire che la necessità di unire al «sense» un po’ di «sensibility» sia analoga a quella di far convivere una sostanziale visione realistica del mondo con almeno un pizzico di romanticismo, anche allo scopo di non dimenticare i tanti lettori che amavano, e amano ancora, quelli che George Lewes definiva nel brano citato prima «elementi di popolarità». Una considerazione che deriva anche dalle innumerevoli volte in cui ho sentito dire, oppure ho letto, quanto romanticismo ci sia nelle opere di Jane Austen; è un giudizio che si può anche non condividere, ma di cui si deve tenere conto, soprattutto per le tante sfaccettature che il termine ha assunto nel corso del tempo. In questo senso, il candidato più appropriato per trovare delle suggestioni romantiche in Jane Austen è probabilmente Persuasione, senza però dimenticare che l’occhio divertito e ironico di Jane Austen, anche nelle sue ultime opere, non si tira certo indietro nell’evidenziare in negativo atteggiamenti che aveva già ampiamente ridicolizzato fin dalle sue opere giovanili.
In Persuasione (nel capitolo 11), Anne Elliot ascolta pazientemente il capitano Benwick mentre esterna il proprio dolore per la morte della fidanzata, un dolore nutrito leggendo poesie e recitando «a memoria i numerosi versi che dipingevano un cuore spezzato, o una mente distrutta dall’infelicità», ma non può fare a meno di azzardarsi

a sperare che non leggesse sempre solo poesia, e a dire di ritenere che la disgrazia della poesia fosse di essere raramente goduta senza rischio da coloro cha la godevano fino in fondo, e che i sentimenti forti, i soli in grado di apprezzarla veramente, erano proprio i sentimenti che avrebbero dovuto gustarla con parsimonia.

E infine, in Sanditon (nel capitolo 7), Charlotte Heywood ascolta educatamente gli sproloqui di Sir Edward Denham, che cita, quasi a casaccio, Scott, Burns, Montgomery, Wordsworth e Campbell, ma dopo aver capito con chi ha a che fare non può fare a meno di cominciare a «pensare che fosse un perfetto cretino.»


Note
[1] Lettera n. 63 del 27 dicembre 1808 a Cassandra Austen. Le traduzioni di questa e delle altre citazioni sono mie, nel sito jausten.it.
[2] Ragione e sentimento, cap. 17, nel sito jausten.it.
[3] Lettera del 25 dicembre 1815 a Walter Scott, in: Samuel Smiles, A Publisher and His Friends, Murray, 1891, p. 288.
[4] <Quarterly Review>, vol. 14, n. 27, datato ottobre 1815, pubblicato il 12 marzo 1816.
[5] Selected Letters of Charlotte Brontë, edited by Margaret Smith, Oxford University Press, 2007, p. 99.
[6] George Henry Lewes, The Novels of Jane Austen, in “Blackwood Edinburgh Magazine” No. DXXV, July 1859, pp. 99-113.
[7] Letters of Jane Austen, edited by Lord Edward Brabourne, Richard Bentley & Son, 1884, vol. I, cap. IV, p. 74.

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