Dopo la parola fine: l’eredità di Jane Austen nei sequel

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 8 (giugno 2017), pagg. 46-54. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

«Che altre penne si soffermino su colpe e miserie. Io abbandono questi odiosi argomenti non appena posso, impaziente di riportare tutti quelli non troppo colpevoli a un tollerabile grado di benessere, e di farla finita con tutto il resto»[1].

Quando Jane Austen aprì l’ultimo capitolo di Mansfield Park con questa dichiarazione, intendeva dire di non avere alcuna intenzione di continuare a parlare di eventi che non fossero lieti; di sicuro le altre penne si sarebbero dovute soffermare su colpe e miserie in altri romanzi, non certo nei suoi. Non sapeva di aver dato in questo modo quasi un’autorizzazione a immaginare – e arrivare persino a scrivere – un prosieguo alle sue storie.

Perché è un dato di fatto che chiunque la ammiri, senta di avere un legame stretto con i suoi personaggi. Come dice il critico letterario Bill Deresiewicz,

«Jane Austen ha un’insuperabile capacità di farci sentire di conoscere i suoi personaggi proprio come conosciamo le persone che fanno parte della nostra vita. Sono nostri amici; non c’è da meravigliarsi, dunque, se vogliamo continuare a spettegolare su di loro»[2].

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Non sono romantica, lo sai. Non lo sono mai stata.

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 12 (2020), pagg. 32-43. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

Nell’immagine di apertura: Charlotte Lucas (Claudie Blakley, Pride and Prejudice 2005, Joe Wright


Le parole che Charlotte Lucas rivolge alla sua amica Elizabeth nel capitolo 22 di Orgoglio e pregiudizio spiegano con semplicità, ma con estrema chiarezza, la sua decisione di accettare la proposta di matrimonio di Mr. Collins. Un esempio della ragionevole concretezza che percorre l’opera di Jane Austen, nonché molta della sua vicenda biografica.

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Il ballo de I Watson

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 9 (ottobre 2017), pagg. 17-25. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

«Un ballo in una città di provincia; alcune coppie che si incontrano e si tengono per mano in una sala dove si mangia e si beve un po’; e, come ‘catastrofe’, un ragazzo che viene umiliato da una signorina e trattato con bontà da un’altra. Nessuna tragedia, nessun eroismo. Eppure, per qualche motivo, la scenetta ci commuove in modo del tutto sproporzionato all’apparente banalità. Il comportamento di Emma nella sala da ballo ci ha permesso di capire quanto riguardosa, tenera e spinta da sentimenti sinceri si sarebbe rivelata nelle crisi più gravi della vita che inevitabilmente, mentre la seguiamo, si dispiegano ai nostri occhi. Jane Austen padroneggia un’emozione molto più profonda di quanto non emerga in superficie. Ci stimola a fornire quel che manca. Lei pare offrire solo un’inezia che però si espande nella mente del lettore arricchendo certe scene a prima vista insignificanti di una vitalità quanto mai duratura»[1].

Il frammento di circa 17.500 parole che Jane Austen cominciò a scrivere nel 1803, forse incoraggiata dall’accettazione per la pubblicazione di Susan (che poi invece sarebbe stato pubblicato solo postumo col titolo di Northanger Abbey) contiene proprio all’inizio una scena perfetta di un ballo pubblico, un ballo che serve a presentare l’eroina – Emma Watson, appena ritornata in casa del padre in Surrey dopo aver vissuto piuttosto agiatamente nello Shropshire, quasi adottata da una zia – alla comunità da cui è mancata per buona parte della sua vita, dal momento che ha vissuto nello Shropshire per ben quattordici anni. Diventata vedova, la zia ha pensato bene di risposarsi e il nuovo marito, forse preoccupato che la moglie volesse destinare una parte delle sue ricchezze a Emma, ha preferito rimandarla dal padre.

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Quando Jane Austen marciò per il diritto di voto alle donne

In un ventoso pomeriggio di giugno del 1908, JaneAusten si trovò ad accompagnare le donne che quel giorno diedero vita ad una grande mobilitazione lungo le strade di Londra per chiedere il diritto di voto. Lo fece dall’alto di uno splendido stendardo di seta disegnato, tagliato, cucito e ricamato con il suo nome dalle mani devote e grate delle militanti per il suffragio che l’avevano scelta come nume tutelare, insieme ad altre grandi donne del passato. Partendo dal cammino dei movimenti suffragisti inglesi che portarono a questa memorabile manifestazione e ricordando come Jane Austen ha raccontato la condizione femminile, l’articolo ripercorre questa straordinaria, intensa storia che intreccia diritti civili e letteratura.

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy Due pollici d’avorio, numero 11 (2019) , pagg. 8-17, e riprende ed integra un mio breve post apparso sul blog Un tè con Jane Austen l’8 marzo 2018.
Per richiedere l’intero numero in PDF, scrivere a info@jasit.it.
Fonte dell’immagine in testa all’articolo: womanandhersphere.com

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Il ruolo della famiglia Austen nel destino editoriale di Jane (seconda parte)

Nel raccontare gli eventi che hanno segnato il destino di Jane Austen come autrice pubblicata, non si può prescindere dalla sua famiglia e in particolare dal ruolo di promotori svolto da alcuni suoi membri: il Rev. George, figura di padre illuminato, Henry, il più amato tra i fratelli, e l’imprescindibile sorella Cassandra, sostegno di tutta una vita, a cui si aggiunge dopo qualche decennio dalla morte di Jane anche il nipote James Edward Austen-Leigh, autore della prima biografia mai pubblicata.

Seconda e ultima parte dell’articolo. La prima parte è stata pubblicata il giorno 10 novembre 2023.

L’articolo originale completo è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 10 (2018), pagg. 154-165. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

 

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Il ruolo della famiglia Austen nel destino editoriale di Jane (prima parte)

Nel raccontare gli eventi che hanno segnato il destino di Jane Austen come autrice pubblicata, non si può prescindere dalla sua famiglia e in particolare dal ruolo di promotori svolto da alcuni suoi membri: il Rev. George, figura di padre illuminato, Henry, il più amato tra i fratelli, e l’imprescindibile sorella Cassandra, sostegno di tutta una vita, a cui si aggiunge dopo qualche decennio dalla morte di Jane anche il nipote James Edward Austen-Leigh, autore della prima biografia mai pubblicata.

L’articolo originale completo è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 10 (2018), pagg. 154-165. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

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