Come comincia? Gli incipit di Jane Austen

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Snoopy non poteva trovare modo migliore per cominciare, visto che il famoso “Call me Ishmael” di Moby Dick  è uno degli esempi più famosi e citati di incipit che si scolpiscono nella memoria del lettore.
Gli incipit sono un po’ i gesti di benvenuto di una narrazione, la porta d’ingresso che oltrepassiamo per addentrarci poi nel libro, nel racconto che lo scrittore ha estratto da un mondo “dato in blocco, senza un prima né un poi”, come scrive Italo Calvino nell’Appendice alle sue Lezioni americane:

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo, una somma di informazioni, di esperienze, di valori – il mondo dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo. Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati dalla letteratura, gli stili in cui si sono espressi civiltà e individui nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline più varie, finalizzati a raggiungere le più varie forme di conoscenza: e noi vogliamo estrarne il linguaggio adatto a dire ciò che vogliamo dire, il linguaggio che è ciò che vogliamo dire.

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Due passi per Austenland: Le Assembly Rooms di Bath

Nel leggere L’Abbazia di Northanger, si sente parlare con gran fervore ed entusiasmo delle due Assembly Rooms di Bath (1), le Upper Rooms e le Lower Rooms.
Il lettore comune, chi legge Jane Austen per la prima volta o non sia pratico di Bath, è spinto erroneamente a credere che esse si trovassero in un unico edificio: il loro nome fa pensare, infatti, a sale collocate al piano superiore e inferiore di una stessa costruzione.

Assembly Rooms, Bath
Assembly Rooms, Bath

Questa erronea convinzione, poi, sembra essere confermata in una cittadina come Bath – in cui pochissimo è cambiato dall’epoca di Jane Austen – dall’esistenza di un unico edificio, costituito di “una grande serie di appartamenti che si aprono l’uno nell’altro”. Quel che instilla il seme del dubbio è la collocazione di tali appartamenti “tutti su un livello con il cortile lastricato esterno”. (2)

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Due passi per Austenland: Lyme Regis

All’inizio del capitolo XIII di Jane Austen: i luoghi e gli amici, Constance Hill racconta della vacanza che Jane e i genitori trascorsero a Lyme Regis nel 1804. Il tragitto compiuto dagli Austen, che “provenendo da Bath attraversarono […] Shepton Mallet, Somerton e Crewkerne” è lo stesso che io ho avuto la fortuna di percorrere più di duecento anni dopo, e su una carrozza fornita di motore, partendo da Bristol. Attraversare il Somerset per raggiungere il Dorset in una giornata d’estate è una delle esperienze più suggestive che possano toccare a un visitatore: la campagna inglese, brillante sotto il sole, punteggiata dai batuffoli candidi delle pecore, traboccante di fiori e decorata dai cottage civettuoli con i tetti di paglia è uno spettacolo per tutti e cinque i sensi.

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Fratelli e sorelle

Il nostro recente post “Sorelle nel romanzo e nella realtà” ci ha fatto ripensare a quale importanza rivestano, nella biografia e nelle storie di Jane Austen, i rapporti tra fratelli e sorelle.

Le lettere di Austen che sono giunte fino a noi sono la principale testimonianza della forza del legame esistente tra l’autrice e la sorella maggiore Cassandra (uniche due femmine nella numerosa prole di Mr e Mrs Austen); il ruolo di Cassandra è quasi quello di uno specchio sul quale si riflettono i pensieri di Jane, ovvero quelle sue immediate “prime impressioni” del tutto libere dai normali ripensamenti generati dalla necessità della scrittura narrativa. Grazie alle lettere possiamo percepire la straordinaria portata dell’ironia di Jane, ma possiamo anche indulgere nella tenerezza di certe sue manifestazioni di rimpianto, o ci viene data la possibilità di interpretare talune ambiguità delle sue opinioni e dei suoi ricordi.

Jane e Cassandra Austen nel film Becoming Jane

Non sorprende, di conseguenza, che i protagonisti dei sei romanzi canonici siano sempre rappresentati, nel bene e nel male, in affinità, in paragone o in conflitto con i loro fratelli o le loro sorelle. Se i più celebri esempi di tale raffigurazione sono senz’altro Jane e Elizabeth Bennet (Orgoglio e pregiudizio) e Elinor e Marianne Dashwood (Ragione e sentimento), sulle quali si sono espressi, come visto anche nel post citato in precedenza, commenti e elucubrazioni relativi ad una possibile immedesimazione dell’autrice con le sue creature, molto interessanti sono, a nostro avviso, anche altri rapporti di fraternità e sorellanza, forse considerati con minore frequenza.

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Jane Austen e il matrimonio

Romina Angelici continua i suoi viaggi tematici nelle lettere e nelle opere di Jane Austen.

Il matrimonio: un lieto fine da romanzo ma non uno scopo di vita a tutti i costi. È a questo riguardo che si intuisce lo spirito più femminista e moderno della scrittrice.
A detta della nipote Caroline (nel suo Memoir), raramente la zia esprimeva un’opinione, ma in una delle rare eccezioni in cui evidentemente si lascia andare per amore della nipote Fanny, Jane non esita a sostenere un’opinione precisa:

ti supplico di non impegnarti oltre, e di non pensare di accettarlo a meno che non ti piaccia davvero. Qualsiasi cosa è preferibile o più tollerabile dello sposarsi senza Affetto;
(Lettera 109, 18-20 novembre1814, a Fanny Knight)

Un’opinione già espressa sei anni prima, con parole molto simili:

Il matrimonio di Lady Sondes mi sorprende, ma non mi offende; – se il suo primo matrimonio fosse stato per affetto, o ci fosse una Figlia da crescere, non l’avrei perdonata – ma ritengo che chiunque abbia diritto almeno una volta nella vita a sposarsi per Amore, se può
(L63, 27-28 dicembre 1808)

Del resto aveva abbastanza esperienza dei legami matrimoniali più o meno riusciti e soprattutto considerava disincantata che un affetto poco convinto avrebbe resistito poco alla prova del tempo e delle difficoltà. Sapeva bene che, nella vita reale, dopo le nozze non esisteva il finale delle favole “e vissero tutti felici e contenti” e la convivenza coniugale poteva non essere affatto tutta rose e fiori. Forse pensava proprio a questo, quando scrisse l’inizio dell’ultimo capitolo di Mansfield Park:

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E Jane Austen restituì la scrittura alle donne

Pietro Citati ha regalato ai lettori italiani delle prospettive sulla scrittura di Jane Austen che sono intrise di poesia e di puro amore per la letteratura.
Vi proponiamo un ulteriore articolo di questo critico, uscito sul Corriere della Sera il 4 settembre del 2011.

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L’autrice possedeva un fortissimo senso della società: non meno robusto, vasto e incisivo di quello di Balzac

Le prime pagine di Persuasione […] sono, probabilmente, l’inizio più bello, frivolo e perfido, che Jane Austen abbia mai scritto. Sir Walter Elliott di Kellynch Hall, nel Somersetshire, «era un uomo che non prendeva mai in mano altro libro che il Baronetage»: noi diremmo il Libro oppure l’Annuario della nobiltà. Vi trovava scritto il suo nome, la sua data di nascita, la data del suo matrimonio, il nome della moglie, quello del padre della moglie, l’anno della morte della moglie; e infine la data di nascita delle tre figlie e del figlio nato morto.

Non gli bastava: sir Elliott aveva aggiunto con la massima precisione il giorno e il mese in cui aveva perduto la moglie (data che, purtroppo, noi ignoriamo); il giorno, il mese, l’anno in cui la sua ultima figlia, Mary, si era sposata, e quale era il nome del genero, e quale il nome del padre del genero e il paese e la contea in cui abitava. Non crediamo che il Baronetage fosse un semplice libro, come quelli dei romanzieri, che si leggono velocemente dal principio alla fine, e talvolta si dimenticano. Il Baronetage era indimenticabile come l’Iliade. Sir Walter Elliott lo apriva e lo chiudeva, lo leggeva e lo rileggeva: ritornava sempre di nuovo su quelle semplici sillabe, che riempivano la sua vita; il libro occupava le sue ore d’ozio, lo consolava di quelle di malinconia, e aboliva ogni sensazione sgradevole della sua esistenza.

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