Nell’indimenticabile figura della zitella povera e attempata di Highbury, che da due secoli conquista i lettori con la sua prosa irrefrenabile e sconclusionata, Jane Austen ritrae un aspetto drammatico della condizione femminile del suo tempo. L’articolo di oggi analizza il valore tragico e realistico di questo capolavoro di comicità, presentando anche i modelli veri a cui la scrittrice si è molto probabilmente ispirata per creare “l’eccellente” Miss Bates.
L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 4 (2016), pagg. 48-52. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.
La zitella attempata, povera, dal cuore d’oro, che anima la scena di Emma con il suo tratto caratteristico più esplicito, ovvero la sua dialettica rutilante, è un gioiello di indimenticabile ritrattistica austeniana: l’esasperante, incessante chiacchiera senza capo né coda, le esclamazioni ripetute, le frasi sincopate, i prodigiosi salti di palo in frasca e le piccole manie compulsive, fanno di Miss Bates un capolavoro di immediata, apparente comicità che non manca di conquistare i lettori.
La sua entrata al ballo che si tiene nella sala del Crown Inn, nel capitolo 38, ne dà l’esempio più eloquente con il lungo, rocambolesco monologo che, in un crescendo di parossismo verbale, ruba la scena a tutto e tutti proprio mentre di essi parla e ad essi si rivolge, tratteggiando alla perfezione tutta la storia umana del personaggio.
«Come siete gentile! Niente pioggia. Nulla di importante. Non mi preoccupo per me. Scarpe ben imbottite. E Jane dice… Be’! (non appena oltrepassata la porta), be’! È un vero splendore! C’è solo da ammirare! Sistemato in modo eccellente, parola mia. Non manca nulla. Chi l’avrebbe mai immaginato. Così ben illuminato. Jane, Jane, guarda, hai mai visto niente di simile? Oh! Mr. Weston, dovete davvero aver avuto la lampada di Aladino. La buona Mrs. Stokes non riconoscerà più la sua sala. L’ho vista mentre entravo; stava in piedi all’ingresso, “Oh! Mrs. Stokes” le ho detto… ma non ho avuto il tempo di dire altro.»[1]
Il moto perpetuo – che qui cogliamo nel momento in cui si apre la porta e Miss Bates entra nel raggio d’azione di Emma (e del lettore) ma che evidentemente era già iniziato ben prima – continua ancora per molte righe e finisce «molti minuti dopo» che Miss Bates ne è uscita, quando ormai è saldamente «ammessa nella cerchia accanto al fuoco».
Eppure, dopo le prime risate, chi assiste al monologo non può fare a meno di avvertire «un senso di stanchezza, di noia, di insopportazione, di orrore, come dirà Emma, di fronte ad un essere umano mostruosamente privato del proprio io»[2]. Una volta sotto la valanga di risate con cui Jane Austen ci ha appena seppelliti, noi suoi lettori siamo costretti a vedere oltre la superficie. Sarebbe non soltanto riduttivo ma decisamente sbagliato fermarsi a questo aspetto superficiale, come accade nella maggior parte degli adattamenti per lo schermo che il romanzo ha avuto nel corso dei decenni, dove Miss Bates è talvolta troppo facilmente ridotta ai minimi termini di un personaggio macchiettistico (unica, ottima eccezione, la Miss Bates di Tamsin Greig nello sceneggiato BBC del 2009).
Nel momento in cui entra in scena per la prima volta, nel capitolo 3, Miss Bates è presentata dalla sua creatrice con le solite poche illuminanti parole che troveranno nelle battute e nelle azioni successive tutta la loro concretezza.
Miss Bates era nella situazione peggiore possibile per attirare il pubblico favore, e non aveva nessuna superiorità intellettuale che potesse redimerla da se stessa, o impaurire quelli che avrebbero potuto detestarla, tanto da indurli a un rispetto esteriore.
Non aveva mai vantato né bellezza né intelligenza. Aveva trascorso la giovinezza senza minimamente distinguersi, e la sua mezza età era dedicata ad assistere una madre in declino e a sforzarsi di far durare il più possibile un’entrata esigua. Eppure era una donna felice, e una donna della quale nessuno pronunciava il nome senza simpatia. Era un miracolo dovuto alla sua simpatia verso tutti e a un carattere sempre appagato. Voleva bene a tutti, si interessava alla felicità di tutti, era pronta a riconoscere i meriti di tutti; si riteneva una creatura molto fortunata, circondata da gioie come una madre eccellente, così tanti buoni vicini e amici, e una casa in cui non mancava nulla. La semplicità e l’allegria della sua indole, l’animo grato e sempre appagato, la raccomandavano a tutti, e per lei erano una fonte di felicità. Chiacchierava moltissimo
di inezie, piene di informazioni banali e innocui pettegolezzi, il che si confaceva perfettamente a Mr. Woodhouse.
L’esordio non depone a favore di Miss Bates. L’ironia, che pure è palpabile all’inizio del brano, tuttavia, non è affatto rivolta contro il personaggio con la leggiadra ferocia che Jane Austen riserva ai suoi fool negativi, dai quali vuole metterci in guardia, satireggiandoli. Nei capitoli successivi avremo delle prove di quanto, nonostante queste sfortunate caratteristiche personali, l’attempata zitella sia davvero benvoluta da tutta la Highbury che conta, persino dalla protagonista (cui non difetta, già in queste prime battute del romanzo, un vago ma deciso classismo). Nel capitolo 12, infatti, sarà proprio Emma a ricordare alla sorella Isabella, appena giunta in visita a Highbury, che si sta dimenticando di chiedere notizia delle Bates: Isabella prometterà subito di andare a trovare «quell’eccellente Miss Bates» già il giorno successivo.
Jane Austen non fa di Miss Bates una macchietta di cui ridere con disprezzo, semmai vuole suscitare la nostra benevolenza spingendoci a seguire l’esempio di Mr. Knightley. Non è infatti un caso che proprio l’eroe del romanzo, «un uomo assennato » dai «modi vivaci, che [a Mr. Woodhouse] facevano sempre bene»[3], e che impariamo subito a conoscere come persona dal solido intreccio di senno e sensibilità, si erga a salvatore e protettore anche di Miss Bates. I tanti riguardi concreti nei confronti suoi, oppure della madre e della nipote Jane Fairfax – come la carrozza eccezionalmente usata da Mr Kinghtley per portare le tre donne alla serata organizzata dai Cole, e poi di nuovo a casa (cap. 26) – sfociano nella difesa a spada tratta dopo il “fattaccio” di Box Hill (cap. 43).
Quando, alla proposta di Frank Churchill di dire per gioco una cosa intelligente, due moderatamente intelligenti o tre molto stupide, Miss Bates si proclama certa di poterne dire tre molto stupide, Emma «non riuscì a resistere» e, trascinata dal caldo, da un ego frustrato e da un Frank Churchill in veste di spiritello malefico, le riserva un pessimo e meschino trattamento davanti a tutta la comitiva: «“Ah! signora, ma può esserci una difficoltà. Perdonatemi, ma dovrete limitarvi quanto al numero… solo tre alla volta”».
La reazione di Miss Bates è, una volta di più, esemplificativa del suo carattere: non afferra subito il senso di quelle parole sgarbate «ma, una volta arrivataci, non riuscirono a farla arrabbiare, anche se un leggero rossore rivelò che potevano addolorarla.» È soprattutto la replica di Mr Knightley, più tardi, a sangue freddo, ad aprire gli occhi di Emma grazie ad una lezione di buon senso, di buona educazione e di vita. Egli le chiede come abbia potuto essere «così crudele» «nei confronti di una donna con il suo carattere, la sua età e la sua situazione.»
«Oh!» esclamò Emma, «so che non c’è creatura migliore al mondo, ma dovete concedermi che in
lei quello che c’è di buono e quello che c’è di ridicolo sono mescolati in modo molto infelice.»
«Sono mescolati», disse lui, «lo riconosco, e, se fosse ricca, potrei concedere molto all’occasionale prevalenza del ridicolo sul buono. Se fosse una donna abbiente, lascerei che ogni innocua assurdità seguisse il suo corso, non litigherei con voi per una qualsiasi libertà di comportamento. Se fosse in una situazione pari alla vostra… ma, Emma, pensate a quanto sia lontana questa ipotesi. È povera, è decaduta dall’agiatezza in cui era nata, e, se vivrà fino a tarda età, molto probabilmente cadrà ancora più in basso. La sua situazione dovrebbe assicurarle la vostra compassione. Davvero una pessima cosa! Voi, che conosce da quando siete nata, che ha visto crescere in un periodo in cui la sua considerazione era un onore, proprio voi, con uno spirito sconsiderato, e nella superbia di un istante, ridere di lei, umiliarla, e di fronte alla nipote, per di più, e di fronte agli altri, molti dei quali (qualcuno di certo) si lasciano guidare da come voi la trattate.»
Sì, «It was badly done, indeed!», davvero una pessima cosa questo sfogo da parte di Emma. Che noi lettori, schierati dalla sua parte, ci sforziamo di giustificare: questo apice drammatico è la battuta finale di una lunga scena in cui Emma – molto giovane, inesperta del mondo, un po’ troppo abituata a fare di testa propria, priva di veri contraddittori (con la sola eccezione di Mr Knightley) – patisce inesorabilmente una vera sconfitta, forse la prima della sua vita, ad opera di ben due elementi di disturbo, Jane Fairfax e Mrs Elton, che minacciano il suo primato nel ruolo di primadonna, in un contesto (la gita a Box Hill) dove tutto sembra girare per il verso sbagliato, a cominciare dal caldo intenso. Ma non si tratta solo di questo.
Miss Bates, come Mr Knightley sottolinea, è una vittima fin troppo facile perché del tutto indifesa socialmente. Quando viene presentata all’inizio del romanzo, nel cap. 3 già citato, sembra tratteggiata per «negazione» a Emma: laddove questa è «bella, intelligente, ricca», Miss Bates è esattamente l’opposto, in quanto «non aveva mai vantato né bellezza né intelligenza» ed è povera da tempo. Un solo elemento sembra unire i due opposti: la negazione del matrimonio. Ma se in Emma è una scelta volontaria, determinata dal fatto che è solo grazie al denaro e alla posizione sociale che può permettersi di promettere fin dal primo capitolo di non combinarne mai uno per se stessa, in Miss Bates è del tutto involontaria, generata da circostanze su cui ella non ha alcun controllo e in cui denaro e società impongono un sacrificio. Ed è su questo dettaglio che si consuma la latente avversione di Emma per Miss Bates, che sfocia nel fattaccio di Box Hill: Miss Bates rappresenta tutto ciò che Emma non è ma che potrebbe diventare se solo le venisse a mancare l’unica, fragile garanzia della sua autonomia, il denaro.
È il denaro, o meglio, la sua assenza, a determinare la necessità di contrarre matrimonio per una donna dell’epoca di Jane Austen – come la stessa scrittrice sa bene, essendo nubile e dipendente dai denari degli uomini di famiglia ma sempre alla ricerca di un’indipendenza creata dalla sua penna. Le donne della sua classe sono impossibilitate a mantenersi da sole senza rischiare condizioni di lavoro pessime, aggravate da un sicuro ostracismo sociale.
Appare eloquente ed inevitabile il rifiuto di Emma, quasi orripilata di fronte al paragone incauto, ma azzeccato, con la «poor old maid», povera vecchia zitella, che Harriet Smith continua a reiterare durante una memorabile conversazione sul matrimonio (cap. 10):
«Non ho nessuno degli incentivi che di solito ha una donna per sposarsi. Certo, se mi dovessi innamorare sarebbe diverso! ma non mi sono mai innamorata; non mi attrae, non è nella mia natura; e non credo che lo farò mai. E, senza amore, sono certa che sarei una sciocca a cambiare una situazione come la mia. I mezzi non mi mancano; le occupazioni non mi mancano; la posizione sociale non mi manca; credo che poche donne siano tanto padrone della casa del marito quanto lo sono io di Hartfield; e mai, mai potrei sperare di essere così sinceramente amata e rispettata, sempre la prima e sempre nel giusto agli occhi di qualsiasi uomo come lo sono per mio padre.»
«Ma allora, alla fine sarete una vecchia zitella, come Miss Bates!»
«Questa è l’immagine più spaventosa che avreste potuto scegliere, Harriet; e se pensassi di diventare come Miss Bates! così ridicola… così soddisfatta… così sorridente… così noiosa… così mediocre e poco esigente… e così incline a raccontare tutto su tutti quelli che ho intorno, mi sposerei domani. Ma tra noi, ne sono convinta, non può esserci nessuna
somiglianza, salvo nell’essere nubili.»
«Ma comunque, sarete una vecchia zitella! ed è terribile!»
«Non preoccupatevi, Harriet, non sarò una povera vecchia zitella; ed è solo la povertà a rendere il nubilato spregevole per un pubblico magnanimo! Una donna non sposata, con un’entrata molto esigua, certo che è una vecchia zitella ridicola e antipatica! il bersaglio naturale di ragazzini e ragazzine; ma una donna non sposata, se ricca, è sempre rispettabile, e può essere giudiziosa e gradevole come chiunque altra.»
La condizione di Miss Bates era ben nota a Jane Austen, e non solo perché ella stessa nubile e sempre in lotta con il denaro. Nelle lettere, pur in assenza di dichiarazioni esplicite da parte dell’autrice, è facile individuare ben due modelli reali per Miss Bates nella cerchia di conoscenti di Jane Austen negli ultimi anni di vita. Si tratta di Miss Benn, di Chawton, la cui condizione di povertà e solitudine è del tutto simile a quella di Miss Bates, e di Miss Milles, di Canterbury, la cui personalità ricorda nettamente quella del personaggio romanzesco.
La prima, Miss Benn, era la sorella nubile del reverendo John, della canonica di Farringdon. Era povera: il fratello aveva una famiglia numerosissima e non riusciva ad aiutarla. Viveva, in affitto, con la sola compagnia di una domestica in una porzione del cottage di Thatch, a pochissima distanza dal cottage delle Austen. È la la fortunata che, giunta in visita al cottage di Chawton il 27 gennaio 1813, ascolta dalla viva voce di Jane Austen la lettura di Pride and Prejudice (Orgoglio e Pregiudizio), il darling child (l’adorato bambino) appena arrivato con la posta da Londra e che uscirà il giorno dopo, il 28 gennaio[4]. Era solita frequentare assiduamente le Austen, come dimostrano i numerosi riferimenti nelle lettere a pranzi, tè, passeggiate e minuzie della vita quotidiana di cui Jane dà o chiede conto, con molta premura. E nell’attenzione che tutta Highbury riserva a Miss Bates e a sua madre, c’è un’eco di quanto si legge in una lettera di poco precedente, del 24 gennaio[5], da cui si deduce come tutti a Chawton fossero pieni di riguardi nei confronti della povera Miss Benn, a tal punto che la sua vita sociale appare assai più ricca di quanto ci si potrebbe aspettare.
Ieri ha passato la serata con noi. – Poiché so che Mary, ci tiene a non vederla trascurata dai suoi vicini, ti prego di dirle che Miss B. mercoledì ha pranzato da Mr Papillon – giovedì con il Cap. e Mrs Clement – venerdì qui – sabato con Mrs Digweed – e domenica di nuovo con i Papillon.
Il secondo modello reale per Miss Bates è Miss Milles, di Canterbury, che vive in condizioni molto smili a quelle di Miss Benn, ed i cui tratti caratteriali, così come descritti da Jane Austen nelle lettere, non lasciano dubbi. In una lettera del 24 agosto 1805, la definisce: «la Creatura più felice al mondo»[6]. In un’altra, del 26 ottobre 1813, la verosimiglianza è tale da sembrare un brano tratto da un capitolo di Emma:
Miss Milles è stata bizzarra come al solito e ci ha fornito lo spunto per un sacco di risate. Si era impegnata a raccontarci in due parole la storia della riconciliazione di Mrs Scudamore, e poi ha continuato a chiacchierarne per mezz’ora, usando espressioni così strane e così piene di inutili particolari che sono riuscita a malapena a restare seria. La morte del figlio di Wyndham Knatchbull ha poi soppiantato gli Scudamore. Le ho detto che sarebbe stato sepolto a Hatch. – Lei aveva sentito Portsmouth, con gli Onori militari. – Ci si può immaginare come questo punto sarà discusso, sera dopo sera.
Dunque, in quegli anni Jane Austen ebbe costantemente, davanti ai propri occhi, due esempi concreti che le fornirono un’ottima materia prima su cui costruire l’archetipo della zitella, goffa, povera, attempata e, fondamentalmente, sola al mondo, per di più in un mondo apertamente avverso.
In conclusione, Miss Bates, al di là dell’immediata innegabile comicità, è un personaggio profondamente drammatico. È la zitella per eccellenza, il modello della donna nubile che porta su di sé tutti gli effetti della sentenza di «morte sociale» decretata dalla società patriarcale nei confronti degli individui di genere femminile che, per volontà propria o della sorte, non seguono nella vita adulta l’unica carriera consentita, l’essere di proprietà di un uomo, il marito, unico strumento di sopravvivenza materiale e sociale.
«Con un simile personaggio, la Austen esprime la sua ribellione e la sua protesta»[7] contro lo schema sociale dominante. Si potrebbe dire che Jane Austen l’abbia creata non per il nostro puro divertimento ma per scuotere, attraverso risate catartiche, le nostre coscienze assuefatte allo stereotipo della zitella come negazione di ciò che è approvato e auspicabile per una donna (matrimonio e maternità) in una realtà a quei tempi ancora ferocemente anti-femminile, che non ammetteva alcun tipo di autonomia, materiale o spirituale.
Considerando Miss Bates alla luce del gran rifiuto di Jane Austen alla proposta di matrimonio del ricco e altolocato Harris Bigg-Wither, ricevuta all’età di 27 anni, quando ormai era già considerata una zitella conclamata e con persistenti difficoltà economiche, la modernità dello straordinario personaggio da lei creato appare non solo nella condanna della coercizione di cui è espressione ma anche, per contrasto, nella rivendicazione della libertà di ogni donna di poter scegliere i mezzi che ritiene più opportuni per provvedere a se stessa.
NOTE
[1] Jane Austen, Emma, trad. it. di Giuseppe Ierolli, in jausten.it. Tutte le citazioni dal romanzo presenti nell’articolosono tratte da questa edizione.
[2] Beatrice Battaglia, La zitella illetterata. Parodia e ironia nei romanzi di Jane Austen, Napoli, Liguori 2009, p. 191.
[3] Jane Austen, Emma, cap. 1.
[4] Lettera a Cassandra, 29 gennaio 1813, trad. it. di Giuseppe Ierolli, in jausten.it.
[5] Lettera a Cassandra, 24 gennaio 1813, trad. it. di Giuseppe Ierolli, in jausten.it.
[6] Lettera a Cassandra, 24 agosto 1805, trad. it. di Giuseppe Ierolli, in jausten.it.
[7] Beatrice Battaglia, La zitella illetterata, cit., p. 191.
L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 4 (2016), pagg. 48-52.
- Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.
- Per saperne di più sulla rivista di JASIT, consultare la pagina dedicata a Due Pollici D’Avorio
- Per leggere gli altri estratti, cliccare sul link agli articoli tratti dai numeri della rivista
(Bologna, Italy) – Diplomata Traduttrice e Interprete e laureata in Lingue e Letterature Straniere, ha lavorato come traduttrice e da anni si occupa di marketing e comunicazione aziendale. Il suo maggiore interesse libresco è la letteratura scritta dalle donne. Ha letto Jane Austen per la prima volta a vent’anni (Orgoglio e Pregiudizio). Nel dicembre 2010 ha aperto il blog monografico Un tè con Jane Austen e nel 2013 ha fondato Jane Austen Society of Italy (JASIT), di cui è presidente.