Anne, l’eroina di Persuasione sembra proprio Jane Austen – di Pietro Citati

Il manoscritto dell’ultimo capitolo di Persuasione

Lo scorso 8 gennaio 2015, sulle pagine del Corriere della Sera, Pietro Citati ha scritto una riflessione sul personaggio di Anne Elliot, indimenticabile protagonista di Persuasione, e sulle tracce della personalità e della vita della stessa autrice che vi si potrebbero rintracciare. Scrive Citati:
Non possiamo dire se la Austen abbia riflesso sé stessa nel carattere di Anne Elliot: perché non sappiamo chi sia Jane Austen, lo scrittore più occulto e misterioso che sia mai esistito; con la mente perduta nei pensieri più illimitati e infiniti mentre sembra soltanto concentrarsi su «un pezzettino d’avorio (largo due pollici) su cui lavora con un pennello così fine che, dopo molte fatiche, l’effetto resta minimo». Anche se la Austen non è Anne Elliot, si identifica con lei, vede con i suoi sguardi, parla con la sua voce, ascolta con le sue orecchie. Così Anne Elliot diventa il centro luminoso e radioso del libro.
Non ci resta che seguirlo nella sua riflessione.
Di seguito, riportiamo per intero il testo dell’articolo nonché il collegamento alla pagina originale del Corriere della Sera.

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Fanny o il trionfo della delicatezza – di Pietro Citati

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Lo scorso 9 maggio, sulle pagine del Corriere della Sera, Pietro Citati coglie l’occasione dell’uscita della nuova edizione Einaudi di Mansfield Park per riflettere sulla protagonista di tale romanzo, Fanny Price.

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Riletture – «Mansfield Park»: ritorna per la Einaudi uno dei romanzi più potenti e autobiografici della scrittrice inglese. Dal simbolico lieto fine
Fanny o il trionfo della delicatezza
L’eroina di Jane Austen, modello vincente di una vera femminilità

Molti lettori di Jane Austen non amano Mansfield Park, di cui Einaudi pubblica oggi una nuova edizione (traduzione di Luca Lamberti, con un saggio di Roberto Bertinetti, p. 490, 12). A me pare bellissimo. Certo, è molto diverso da Giudizio e sensibilità, Orgoglio e pregiudizio, Emma, Persuasione. In primo luogo, le case abitate dai personaggi sono vaste, massicce, circondate da grandi parchi: ricchi aristocratici sostituiscono i rappresentanti della classe media; mentre l’architettura del romanzo, egualmente grave, aggrondata e massiccia e il ritmo lento e faticoso del racconto ricordano poco l’incantevole levità degli altri libri.

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E Jane Austen restituì la scrittura alle donne

Pietro Citati ha regalato ai lettori italiani delle prospettive sulla scrittura di Jane Austen che sono intrise di poesia e di puro amore per la letteratura.
Vi proponiamo un ulteriore articolo di questo critico, uscito sul Corriere della Sera il 4 settembre del 2011.

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L’autrice possedeva un fortissimo senso della società: non meno robusto, vasto e incisivo di quello di Balzac

Le prime pagine di Persuasione […] sono, probabilmente, l’inizio più bello, frivolo e perfido, che Jane Austen abbia mai scritto. Sir Walter Elliott di Kellynch Hall, nel Somersetshire, «era un uomo che non prendeva mai in mano altro libro che il Baronetage»: noi diremmo il Libro oppure l’Annuario della nobiltà. Vi trovava scritto il suo nome, la sua data di nascita, la data del suo matrimonio, il nome della moglie, quello del padre della moglie, l’anno della morte della moglie; e infine la data di nascita delle tre figlie e del figlio nato morto.

Non gli bastava: sir Elliott aveva aggiunto con la massima precisione il giorno e il mese in cui aveva perduto la moglie (data che, purtroppo, noi ignoriamo); il giorno, il mese, l’anno in cui la sua ultima figlia, Mary, si era sposata, e quale era il nome del genero, e quale il nome del padre del genero e il paese e la contea in cui abitava. Non crediamo che il Baronetage fosse un semplice libro, come quelli dei romanzieri, che si leggono velocemente dal principio alla fine, e talvolta si dimenticano. Il Baronetage era indimenticabile come l’Iliade. Sir Walter Elliott lo apriva e lo chiudeva, lo leggeva e lo rileggeva: ritornava sempre di nuovo su quelle semplici sillabe, che riempivano la sua vita; il libro occupava le sue ore d’ozio, lo consolava di quelle di malinconia, e aboliva ogni sensazione sgradevole della sua esistenza.

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L’occhio di Jane sulla tazza di tè

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Un particolare dell’articolo di Pietro Citati, dalla pagina del 28 agosto 1983

Grazie ad una paziente ed efficace ricerca condotta da Romina Angelici, grazie alla disponibilità della redazione del Corriere della Sera, e grazie alla puntuale trascrizione di Giuseppe Ierolli, abbiamo recuperato un prezioso articolo del 23 agosto 1983 di Pietro Citati, L’occhio di Jane sulla tazza di tè. Buona lettura.

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Rileggendo due famosi romanzi della Austen

L’occhio di Jane sulla tazza di tè

Quando uno è in convalescenza, come mi è capitato negli ultimi tempi, quando il corpo è languido, inerte, incerto, incapace di tensioni e di sforzo, i libri vanno scelti con cura. Shakespeare turba, con la sua massa roteante di immagini. Tolstoj stanca, col suo passo troppo veloce. Balzac nausea, con la sua fisicità soffocante. Dostoevskij sconvolge, col suo urgere irrisolto di problemi. Nulla meglio di un romanzo di Jane Austen: un villaggio o una proprietà di campagna, poche figure e pochi avvenimenti, un’esile quantità di tempo, un’implacabile precisione di tocco e di linee. Ricordavo il famoso giudizio di Charlotte Brontë, che i lettori hanno sempre condiviso. «Non si occupa tanto del cuore umano, quanto degli occhi, delle bocche, delle mani, dei piedi. Ciò che vede acutamente, che parla acconciamente, che si muove flessibilmente, conviene al suo studio, ma ciò che palpita con intensità e pienezza, sebbene nascosto, ciò che è l’invisibile sede della vita e il senziente bersaglio della morte – questo Miss Austen lo ignora… Essa non agita il lettore con alcunché di veemente, non lo turba con alcunché di profondo. Anche ai sentimenti non fa che un raro saluto grazioso ma distante». Il mio corpo, che non voleva inquietudini e turbamenti, ne era rassicurato.

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Un cappellino di velluto nero

Nel lontano 1992, uno fra i maggiori critici letterari italiani, Pietro Citati, così scriveva di Jane Austen su Repubblica:

“Appena sfogliamo le lettere di Jane Austen ci sembra di ascoltare una conversazione: avvenuta quasi due secoli fa, in piccoli paesi dell’ Inghilterra del Sud, ma così chiara e nitida e luminosa, come se avvenisse in questo momento, nella stanza accanto alla nostra, tra due ragazze che si sono appena lasciate. Non c’è mai quell’impercettibile vetro, con cui la carta allontana e raffredda il corso delle parole. Per tutta la vita, Jane Austen e la sorella Cassandra (alla quale scrisse la maggior parte delle sue lettere) divisero la stessa stanza da letto; e passarono le giornate nella stessa sala da soggiorno. Secondo i famigliari erano molto diverse: “Cassandra aveva il merito di tenere il proprio comportamento sotto controllo, mentre Jane aveva la felicità di un temperamento che non chiedeva mai di essere comandato”. Si confidarono quasi tutto: si dissero ogni pensiero via via che nasceva; commentando tra loro ogni avvenimento del paese e della campagna. Appena la carrozza portava Cassandra a Kintbury o a Godmershan o a Manydown, Jane si metteva al tavolino, con la sua penna cedevole, e la calligrafia chiara come la mente bene ordinata. Scriveva come parlava: con la stessa velocità, la stessa intonazione, piccole risate e piccoli capricci e piccole fantasie e accenni di assennatezza precoce. Jane Austen non descriveva alla sorella i suoi pensieri e sentimenti, né parlava dei libri che aveva preso in prestito alla biblioteca circolante, trasformando le lettere in una specie di interminabile diario, come molte ragazze di quel periodo cominciavano a fare. Quando scriveva, Jane Austen non era mai sola (Lettere, introd. e commento di Malcolm Skey, trad. di Linda Gaia, Theoria, pagg. XL-294, lire 42.000). Qui parla un mondo compatto, foltissimo, solidale, come ormai non ne conosciamo più.

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