Un articolo dalla rivista “Persuasions On-Line” della Jane Austen Society of America, nel quale Christine Kenyon Jones ci racconta la storia di Dido Elizabeth Bell e del prozio, il giudice capo della corte suprema inglese Lord Mansfield, intrecciando le vicende reali con possibili influenze sulla composizione di Mansfield Park.
Le strane cugine: Mansfield Park e la famiglia Mansfield
di Christine Kenyon Jones
V.31, NO.1 (Winter 2010)
In questo articolo sono presi in esame i possibili legami tra un ritratto di due membri della famiglia del famoso giudice del diciottesimo secolo, Lord Mansfield, (1) e il romanzo Mansfield Park di Jane Austen. L’ipotesi è che il ritratto di cugine “diverse”, nel contesto della tratta degli schiavi, possa aver influenzato il modo in cui Austen ha trattato questi argomenti nel romanzo.
Dipinto negli anni ’70 del Settecento da un artista sconosciuto, il ritratto raffigura due nipoti di Lord Mansfield, Lord Chief Justice of England dal 1756 al 1788. A destra, Lady Elizabeth Murray, figlia del nipote ed erede di Lord Mansfield, il settimo Visconte Stormont. Lady Elizabeth era nata nel 1760 ed era stata cresciuta da Lord Mansfield e dalla moglie dopo la morte della madre quando lei era una bambina. Dido Elizabeth Bell, a sinistra, era la figlia illegittima di un altro nipote di Lord Mansfield, il capitano John Lindsay e di una donna nera probabilmente schiava, Maria Bell. Dido era nata nel 1761 ed era stata cresciuta da Lord e Lady Mansfield fin dall’infanzia. Le ragazze sono ritratte a Kenwood, proprietà di Lord Mansfield a Hampstead, a nord di Londra, e nell’angolo in basso a sinistra si può vedere la famosa veduta da Kenwood della cattedrale di Saint Paul. Il quadro è ora nello Scone Palace, a Perth, in Scozia, ma è stato a Kenwood nel 2007 in occasione di una mostra per celebrare il bicentenario dell’abolizione della schiavitù in Gran Bretagna. (“Slavery and Justice”).
Ci sono diverse cose che legano il quadro a Jane Austen. La prima è la ben nota ipotesi che il titolo Mansfield Park si riferisca a Lord Mansfield e alla sua famosa sentenza del 1772, nella quale venne stabilito che un imputato nero, James Somerset, non potesse essere fatto uscire dall’Inghilterra contro la sua volontà per essere riportato in schiavitù nella colonia della Virginia. (2) “Lo stato di schiavitù […] è talmente disgustoso”, stabilì Mansfield, che “quali che siano i fastidi […] che dovessero scaturire da questa decisione, non posso affermare che ciò sia permesso o approvato dalla legge inglese, e quindi, il nero dev’essere liberato (White 1).
Un altro probabile riferimento al movimento abolizionista è presente nel romanzo nel cognome scelto da Austen per l’odiosa Mrs. Norris, che potrebbe alludere all’abolizionista rinnegato e mediatore schiavista John Norris, menzionato nella History of the Rise, Progress, and Accomplishment of the Abolition of the African Slave Trade (1808) di Thomas Clarkson. Austen cita con ammirazione Clarkson in una lettera a Cassandra del 24 gennaio 1813, e un’allusione alla sentenza Mansfield è anche i uno dei suoi poemi prediletti, The Task (1785), nel quale William Cowper (che aveva studiato da avvocato) fa eco a quanto scritto da Mansfield:
Non abbiamo schiavi da noi – perché quindi all’estero?
E loro stessi, una volta trasportati sulle onde
Che ci separano, sono emancipati e sciolti dalle catene.
Gli schiavi non possono respirare in Inghilterra; se i loro polmoni
Aspirano la nostra aria, in quel momento sono liberi,
Toccano la nostra nazione e i ceppi cadono, (2:37-42)
Sebbene nell’emettere la sentenza Lord Mansfield avesse chiarito come fosse da applicare solo a James Somerset, nei fatti il verdetto fu interpretato in termini molto ampi, nel senso che tutti gli schiavi in Inghilterra dovessero essere “liberati”, e diede una forte spinta al movimento abolizionista. Molti a quel tempo fecero notare la probabile influenza che la presenza di Dido in casa Mansfield avrebbe avuto nella decisione del prozio. Per esempio, era citato un “colono della Giamaica” che aveva previsto prima del processo che “senza dubbio” Somerset sarebbe stato liberato, perché “Lord Mansfield tiene una nera in casa sua che comanda su di lui e sull’intera famiglia.” (Hutchinson 2:276)
Di fatto, tuttavia, i pareri legali e la decisioni di Mansfield in questo e in altri processi che coinvolgevano degli schiavi rivelano come egli fosse combattuto tra la profonda repulsione per la schiavitù e la riluttanza a stabilire principi legali che sapeva avrebbero spazzato via l’intero apparato della schiavitù e distrutto l’economia del sistema delle piantagioni. Mansfield si imbatté nella schiavitù in almeno sette cause legali (Oldham, 62) una delle quali fu quella dell’infame nave negriera Zong, dalla quale furono gettati in mare e fatti annegare centotrentadue schiavi, uomini, donne e bambini, affinché gli armatori potessero reclamare il rimborso assicurativo. Dopo un primo rimborso di 300 sterline, Mansfield decise che un essere umano non poteva essere assicurato come una merce, e richiese un nuovo processo. Gli schiavisti e gli assicuratori rinunciarono alla causa, e d’allora in poi divenne impossibile assicurare gli schiavi.
Il secondo punto che lega questo ritratto a Jane Austen è il fatto che la scrittrice conobbe personalmente Lady Elizabeth quando quest’ultima si sposò e divenne Lady Elizabeth Finch-Hatton. Gli incontri tra le due sono ricordati diverse volte nelle lettere di Austen tra il 1805 e il 1813, quando i Finch-Hatton erano vicini di Edward Austen (dal 1812 Edward Knight) nel Kent. Dai commenti in queste lettere, sembra che la scrittrice fosse consapevole del lignaggio e delle origini di Lady Elizabeth, e fosse rimasta delusa nel non trovarla una persona più interessante o più pronta alla conversazione. Il 24 agosto 1805, per esempio, Jane scrive a Cassandra: “Ho scoperto che Lady Elizabeth per una donna della sua età e condizione, ha sorprendentemente pochi argomenti di conversazione, e che Miss Hatton non ne ha molti di più.” In seguito, il carattere taciturno di Lady Elizabeth e delle figlie divenne un gioco ricorrente tra le sorelle Austen (vedi le lettere del 30 giugno-1° luglio 1808, del 26 ottobre 1813 e del 6-7 novembre 1813), ed è stato ipotizzato che Lady Elizabeth possa essere stata il modello per le “eleganti ma mute” lady dei romanzi austeniani, compresa Lady Middleton in Ragione e sentimento, e naturalmente Lady Bertram in Mansfield Park (Lawrence).
Il terzo punto per il quale il ritratto sembra legato a Mansfield Park è il modo in cui l’essere cugine delle due ragazze enfatizza ciò che le fa somigliare l’una all’altra e nello stesso tempo rivela le differenze tra loro, proprio come accade nei rapporti tra Fanny e le Bertram. Come Fanny, Dido occupa in famiglia una posizione ambigua. Da una parte ha i vantaggi del benessere, della ricchezza e dell’istruzione concessi solo ai membri di famiglie aristocratiche. Ma d’altro canto Dido, come Fanny, era una parente povera, la cui condizione, nella sua Mansfield, era incerta e totalmente dipendente dalla bontà e dall’affetto di coloro che le erano vicini.
Dido naturalmente pativa ulteriori svantaggi sociali che Fanny non ha. Era illegittima e di razza mista, probabilmente figlia di una schiava. Alla fine del diciottesimo secolo la condizione di figlia illegittima di Dido sembra che avesse più importanza del colore della pelle, che evidentemente le donava un certo esotismo, sfruttato nel ritratto. Questa distinzione è confermata dal modo in cui Austen presenta l’unico personaggio di colore delle sue opere: la diciassettenne ereditiera delle Indie occidentali Miss Lambe, in Sanditon. Miss Lambe appare solo in un in una breve scena; è descritta come “una ricca giovane delle Indie occidentali, di salute delicata.” (Sanditon, cap,. 10), e solo più là veniamo a sapere che è “mezza mulatta” (Sanditon, cap. 11). Il colore della pelle di Miss Lamb, o la sua razza, non impediscono a Lady Denham, il personaggio più conservatore del libro in termini sociali, di individuare la giovane come moglie potenziale del nipote. Di Lady Denham sappiamo che conosce “il valore del denaro” (cap. 3) e sembra disposta ad aggiungere alla famiglia una nipote di razza mista allo scopo di ottenerlo. D’altra parte, lo stato di figlia illegittima come quello di Harriet Smith in Emma, sebbene sia visto con romantico interesse dalla protagonista del romanzo, è un ferreo sbarramento per ogni prospettiva di matrimonio di Harriet con il reverendo Elton, almeno per quanto riguarda quest’ultimo.
Delle domande circa la condizione di Dido all’interno della famiglia Mansfield furono certamente sollevate da osservatori contemporanei. Thomas Hutchinson, il lealista governatore del Massachusetts, pranzò con Lord Mansfield a Kenwood nel 1779, e poté osservare da vicino i rapporti di Dido con i Mansfield. Scrive nel suo diario:
Dopo il pranzo entrò una nera e si sedette con le signore; dopo il caffè passeggiò con gli altri nei giardini, sottobraccio a una delle giovani signore. Aveva una cuffia alta, e i capelli crespi le si arricciavano sul collo, ma non abbastanza da formare i grandi riccioli ora di moda. Non è né bella né elegante… ma abbastanza impertinente. Conoscevo già la sua storia, ma Lord Mansfield me ne ha accennato di nuovo. Sir John Lindsay, dopo aver preso prigioniera la madre in una nave spagnola, l’aveva portata in Inghilterra, dove aveva partorito questa ragazza, che era poi stata affidata a Lord Mansfield ed era cresciuta nella sua famiglia. La chiama Dido, il che suppongo sia l’unico nome che ha. Lui sa di essere biasimato per l’affetto che mostra per la ragazza… che non mi azzardo a definire criminale (2:275).
Hutchinson è chiaramente un commentatore critico e pieno di pregiudizi razziali, ma, a parte questo, ci sono in questo brano diversi punti che indicano, più o meno esplicitamente, l’ambiguità della condizione di Dido. In primo luogo, Lord Mansfield sembra aver nascosto al governatore il fatto che Dido fosse una sua pronipote, e c’è una velata allusione al fatto che fosse l’amante di Mansfield. Naturalmente un rapporto del genere sarebbe stato a quel tempo considerato normale nelle Indie occidentali.
In secondo luogo, sebbene il rapporto di Dido con le signore di casa appaia, così com’è descritto da Hutchinson, chiaramente affettuoso – passeggia sottobraccio a una di loro – si può anche notare il fatto che non pranzi con loro e che non si unisca alla compagnia fino a dopo il pasto. Questo può richiamare le attente gradazioni sociali nella Highbury di Emma, tra coloro che sono invitati a pranzo e quelli che sono invitati “in serata” (cap. 25), nonché le perplessità di Mary Crawford in Mansfield Park circa la “presentazione” o meno in società di Fanny, e di conseguenza se partecipi o meno a pranzi fuori casa (cap. 5).
Tuttavia, il fatto che i modi di Dido colpiscano il governatore in quanto “impertinenti” significa probabilmente che alla ragazza era permesso di esprimersi con una libertà che gli sembrava inappropriata. In questo Dido è molto diversa da Fanny, che è descritta come molto più docile, distinta e signorile delle privilegiate cugine. In contrasto con il racconto di Hutchinson, nel necrologio del padre di Dido, apparso sui giornali nel 1788, si legge come “il garbo e le qualità della figlia abbiano ottenuto il massimo rispetto da parte di tutti i parenti e i conoscenti di sua signoria.” (“Slavery and Justice”, 5).
Hutchinson sbagliava anche nel supporre che Dido, come gli schiavi che gli erano familiari, non avesse null’altro che il nome proprio, anche se il soprannome derivante dalla regina di Cartagine è tipico del modo disumanizzante con il quale erano spesso chiamati gli schiavi. Nel testamento del padre è nominata come “Elizabeth” e in quello di Lord Mansfield come Dido Elizabeth Bell (o Belle), ovvero con l’acquisizione del cognome della madre (Adams, 14).
Sappiamo anche che a Dido, come a Fanny, erano affidati dei “lavori” del tipo considerato come un piacevole passatempo per le signore del diciottesimo secolo. Mentre Fanny è mandata a fare commissioni da Mrs. Norris, a cogliere rose e a scrivere biglietti da Lady Bertram, e sembra fare la maggior parte del lavoro di cucito di sua signoria, Dido, secondo Hutchinson, era “una sorta di sovrintendente sulla produzione di burro, sulla cura del pollame ecc. […] era chiamata continuamente da Lord Mansfield per una cosa o l’altra, ed era estremamente attenta a tutto ciò che lui diceva.” (Adams, 10). La sovrintendenza di Dido sulla produzione del burro poteva magari essere simile a quella della regina Maria Antonietta, che giocava a fare la contadina, ma più probabilmente era un vero lavoro che contribuiva in modo pratico e utile all’andamento domestico. Fungeva anche informalmente da segretaria di Lord Mansfield, e una lettera del 19 maggio 1786 da Mansfield a un altro giudice si conclude con una nota del mittente: “Scritta da Dido. Spero che siate in grado di leggerla.” (Oldham, 67). I registri contabili di Kenwood del 1789 indicano che Dido ricevette nel corso dell’anno più di 30 sterline, come appannaggio o in regali, ovvero diverse volte il salario annuale di una domestica, anche se molto meno delle 100 sterline l’anno concesse a Lady Elizabeth (Adams, 13).
Nel suo testamento, inoltre, Lord Mansfield lasciò a Dido 500 sterline, oltre a una rendita vitalizia annua di 100 sterline, una somma che probabilmente Jane Austen non avrebbe considerato sufficiente per assicurare un certo rango, ma ciò nonostante comunque considerevole. In Ragione e sentimento le tre sorelle Dashwood e la loro madre “potranno contare su un totale di cinquecento sterline l’anno” per vivere, una somma circa la quale Fanny Dashwood osserva maliziosamente, “Pensa solo a come staranno bene!” (cap. 2). Nel testamento Lord Mansfield si era anche preoccupato di confermare la condizione di libertà di Dido, e aveva annotato che il lascito era riferito a “come lei era stata cresciuta e a come si era comportata.” (“Slavery and Justice”, 5). Subito dopo la morte di Lord Mansfield, nel 1793, Dido sposò John Davinier, amministratore di diversi gentiluomini, e in pochi anni divenne madre di tre figli maschi. L’ultimo discendente conosciuto viveva in Sud Africa negli anni ’70 del secolo scorso, e, ironia della sorte, secondo le leggi dell’apartheid era classificato come bianco (“Slavery and Justice, 11).
Il ritratto fu dipinto intorno al periodo in cui il governatore Hutchinson fece visita a Lord Mansfield, e si può vedere come vi siano sottilmente rappresentate alcune delle abitudini descritte dall’ospite. Reputato come “unico nell’arte britannica del diciottesimo secolo a raffigurare una donna nera e una bianca come delle quasi uguali” (“Slavery and Justice”, 4) dà pressoché lo stesso spazio a Lady Elizabeth e a Dido, facendole guardare entrambe verso di noi con un sorriso. L’idea sembra essere quella che l’artista abbia cominciato a ritrarre Lady Elizabeth, che ha afferrato Dido per un braccio come se la stesse fermando per far entrare anche lei nel quadro. Entrambe le ragazze indossano abiti di seta e gioielli con le perle, ma i capelli di Lady Elizabeth sono acconciati in modo convenzionale con dei fiori, mentre Dido ha un esotico turbante con una piuma e una elegante sciarpa tessuta con fili d’oro. Mentre Lady Elizabeth indossa due fili di piccole perle comuni, Dido ne ha solo uno di perle eccezionalmente grandi. Perle così grandi erano, di nuovo, associate all’esotico: Cleopatra, per esempio, secondo Plinio il Vecchio, possedeva “due perle, le più grandi mai viste al mondo.” (9.58).
Il quadro mostra Lady Elizabeth con un libro in mano, ovvero in una situazione di tranquillo tempo libero, mentre Dido sembra stia eseguendo una commissione, o un qualche compito, visto il cesto di frutta che sta portando e la sciarpa che le svolazza alle spalle. Forse l’artista era consapevole, come più tardi lo fu Jane Austen, della natura piuttosto passiva di Lady Elizabeth, e scelse di creare un contrasto con la vivacità di Dido; o forse è sottinteso un contrasto più acuto tra le loro rispettive condizioni sociali, ovvero una signora aristocratica libera da occupazioni e una donna al lavoro (ancorché esotica). L’indice di Dido che punta alla sua guancia è un gesto misterioso: è forse inteso a richiamare l’attenzione sul colore della pelle, oppure semplicemente sul suo sorriso e sulle fossette sul suo volto?
Tutti questi elementi servono, in modo delicato ma attento, a delineare il rapporto tra le due cugine Mansfield, e, ipotizzo io, fanno venire in mente il genere di diseguale e incerto rapporto tra cugine descritto in Mansfield Park. Il contrasto tra attività e riposo, esemplificato dalla radicale differenza di indole tra Lady Bertram e Mrs. Norris, e dalla debolezza fisica di Fanny, che la rende inadatta a sostenere tutti i compiti che le impone Mrs. Norris o a godere del vivace stile di vita delle cugine, è un tema che si presenta di frequente nel romanzo. L’ampiezza dell’aspetto coloniale del libro è stata naturalmente dibattuta moltissimo, in particolare dopo ciò che ne ha scritto Edward Said in Cultura e imperialismo nel 1993. Alcuni critici hanno sollevato dubbi sulla forse troppo facile identificazione tra la vera e propria schiavitù e la tirannia domestica sopportata dalle donne della classe media e della nobiltà di campagna ai tempi di Jane Austen, mentre altri hanno evidenziato come le stesse scrittrici sue contemporanea, da entrambi i lati dello spettro politico, ovvero da Mary Wollstonecraft a Hanna More, abbiano fatto uso con entusiasmo di questo paragone (Coleman, 293-297). La sottigliezza austeniana può impedirle di proporre direttamente una tale identificazione, sia negli scambi tra Jane Fairfax e Mrs. Elton circa la tratta delle istitutrici e quella degli schiavi (Emma, cap. 35), sia nel silenzio molto significativo sull’argomento in Mansfield Park (cap. 21). Ciò nonostante, quella sottigliezza non le impedisce di essere a conoscenza di un paragone del genere. Anche se né il romanzo né il dipinto sono “sulla” schiavitù, entrambi alludono chiaramente ai suoi effetti ed esplorano la scomoda realtà dell’ineguaglianza, del potere e dei vincoli nascosti sotto la levigata superficie della rappresentazione della famiglia.
È quindi possibile che Jane Austen abbia visto questo ritratto, che forse abbia conosciuto la storia di Dido e abbia trasportato le ramificazioni di questa complessa situazione familiare nel suo Mansfield Park? Sappiamo che cercava dei modelli visivi per i suoi personaggi – almeno dopo averli creati – e in una lettera a Cassandra del 24 maggio 1813 descrive come, in visita a una mostra, avesse trovato una “Mrs. Bingley”, anche se non una “Mrs. Darcy” tra i ritratti esposti. Alcuni saggi critici, incluso quello di Janine Barchas nel numero 31 di Persuasions, hanno discusso la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte visiva da parte della scrittrice, ed è proprio in questi termini che lei stessa caratterizza la propria maestria quando scrive a James Edward Austen circa “il pezzettino d’avorio (largo due pollici) sul quale lavoro con un pennello così fine” (Lettera del 16-17 dicembre 1816). Mansfield Park non prevede (così come invece Emma e Ragione e sentimento) un’eroina che sa disegnare, ma, come evidenzia Barchas, Fanny dà ospitalità nella stanza a est a un misconosciuto ritratto di famiglia (cap. 13).
È molto probabile che Jane Austen sia stata a Hampstead, visto che la zia Philadelphia Hancock e la cugina e cognata Eliza Austen, insieme al figlio, sono sepolte lì (Le Faye, 417, 603). Il 24 maggio 1813 scrive a Cassandra che “Henry parla di andare a Hampstead”, e in uno dei lavori giovanile, “La bella Cassandra” manda la sua eroina a Hampstead con una carrozza a nolo (55).
La stessa Kenwood era largamente visitata al tempo di Jane Austen, a causa dell’architettura, dovuta ai fratelli Adam, e al rapporto con Lord Mansfield. Nel suo diario, alla data del 17 aprile 1776, il lealista americano Samuel Curwen descrive gli interni di Kenwood e i suoi ritratti (56), e il 22 giugno 1792 Fanny Burney, scrittrice ammirata da Austen, visitò la casa con la guida della governante. “Siamo andati a Caenwood per vedere la casa e i quadri. La governante ci ha detto che il povero Lord Mansfield non scende di sotto da quattro anni, ma asserisce che non ha affatto smesso di lavorare, che vede di frequente gli amici intimi e di rado rifiuta di essere consultato da qualche avvocato.” (2:464). Una scena simile è, naturalmente, cruciale nella trama di Orgoglio e pregiudizio, quando Elizabeth e i Gardiner sono scortati nella Pemberley di Darcy, in sua assenza, dalla governante, opportunamente chiamata Mrs. Reynolds (cap. 43).
Burney nota in modo particolare i dipinti, ed è probabile che questo ritratto fosse ancora nel palazzo uno o due decenni dopo, quando Jane Austen potrebbe averlo visitato, dato che era ancora lì nel 1898. (3) Sfortunatamente gli archivisti di Kenwood e della famiglia Mansfield, attualmente a Scone, non hanno traccia dell’esistenza di un registro dei visitatori di Kenwood con scritto in modo accurato “Jane Austen è stata qui”. Questa parte deve quindi terminare con un punto interrogativo, ma la possibilità che la scrittrice abbia visto il ritratto e abbia avuto in mente le tensioni che contiene nello scrivere Mansfield Park rimane una affascinante possibilità.
NOTE
(1) Ritratto di Dido Elizabeth Bell e Lady Elizabeth Murray (di artista sconosciuto, in precedenza attribuito a Zoffany), dalla collezione del conte di Mansfield, Scone Palace, Perth. Riprodotto con il permesso del conte di Mansfield.
(2) John Wiltshare e altri hanno ipotizzato che la fonte di Jane Austen per il titolo fosse Sir Thomas Bertram, personaggio del romanzo Sir Charles Grandison di Samuel Richardson (Wiltshire, 303). Data tuttavia la cura che Jane Austen aveva nello scegliere, sia dalla vita reale che dalle opere letterarie, nomi significativi, il riferimento sembra molto meno probabile di quello relativo al famoso giudice.
(3) Email all’autrice da parte della dott.ssa Mary Young, archivista del conte di Mansfield (5 febbraio 2009). Sono molto grata alla dott.ssa Young e a Allison Sharpe, curatrice delle collezioni dell’English Heritage, per il loro aiuto e l’interesse dedicato a questo progetto.
OPERE CITATE
- Adams, Gene. “Dido Elizabeth Belle: A Black Girl at Kenwood, an Account of a Protégée of the 1st Lord Mansfield.” Camden History Review 12 (1984): 10-14.
- Austen, Jane. The Cambridge Edition of the Works of Jane Austen. Ed. Janet Todd. Cambridge: CUP 2005-08. [Per le versioni italiane delle opere e delle lettere di Jane Austen vedi il sito jausten.it]
- _____.Jane Austen’s Letters. Ed. Deirdre Le Faye. 3rd ed. Oxford: OUP, 1995.
- Barchas, Janine. “Artistic Names in Austen’s Fiction: Cameo Appearances by Prominent Painters.” Persuasions 31 (2009): 145-62.
- Burney, Frances. The Diary and Letters of Madame D’Arblay (Frances Burney) with notes by W. C. Ward. 3 vols. London: Vizetelly, 1891.
- Coleman, Deirdre. “Imagining Sameness and Difference: Domestic and Colonial Sisters in Mansfield Park.” A Companion to Jane Austen. Ed. Claudia L. Johnson and Clara Tuite. Chichester: Wiley, 2009. 292-303.
- Curwen, Samuel. The Journal and Letters of Samuel Curwen, an American in England, from 1775 to 1783, with an Appendix of Biographical Sketches. Ed. George Atkinson Ward. Boston: Little, 1864.
- Hutchinson, Thomas. The Diary and Letters of His Excellency Thomas Hutchinson Esq. 2 vols. Boston: Houghton, 1884-86.
- Lawrence, Rachel. “Jane Austen’s Elegant but Dumb Ladies.” The Inkwell (2002). 23 March 2010 http://www.jasnanorcal.org/ink7.htm.
- Oldham, James. “New Light on Mansfield and Slavery.” Journal of British Studies 27.1 (Jan. 1988): 45-68.
- Pliny the Elder. Natural History. Trans. John Bostock and H. T. Riley. London: Bohn, 1855.
- Said, Edward. “Jane Austen and Empire.” Culture and Imperialism. London: Chatto, 1993. 95-116.
- “Slavery and Justice: The Legacies of Dido Belle and Lord Mansfield.” Exhibition brochure. London: English Heritage, 2007.
- White, Gabrielle D. V. Jane Austen in the Context of Abolition. Basingstoke: Palgrave, 2006.
- Wiltshire, John. “Decolonising Mansfield Park.” Essays in Criticism 53.4 (2003): 303-22.
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Dal 2009 al 2013 ha tradotto tutte le opere e le lettere di Jane Austen, raccolte nel sito jausten.it. Ha scritto due biografie di Jane Austen: Jane Austen si racconta (Utelibri, 2012) e In Inghilterra con Jane Austen (Giulio Perrone Editore, 2022). Nel 2015 ha curato e tradotto Lady Susan e le altre (Elliot), una raccolta di romanzi e racconti epistolari di Jane Austen. Nel 2017, in occasione del bicentenario della morte di Jane Austen, ha curato tre volumi editi da Elliot: Juvenilia, Ricordo di Jane Austen e altre memorie familiari (di James Edward Austen Leigh) e I Janeites (di Rudyard Kipling), oltre a un’antologia delle lettere pubblicata da “La biblioteca di Repubblica-L’Espresso”, comprendente anche l’incompiuto Sanditon.