Perfida Jane, la scrittrice bambina

Nuova giornata, nuovo articolo su Jane Austen. Anche questo, come quello che abbiamo riportato ieri, è una trascrizione da un articolo apparso su L’Unità sempre nel 1994 (14 maggio); inoltre, ci è stato segnalato da un’altra affezionata lettrice, Anna Carini.

L’autore è uno scrittore che è stato tra i maggiori anglisti italiani: Agostino Lombardo. Insieme alla bellezza dei suoi contenuti, godetevi anche l’altezza della sua scrittura. 

 

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Jane Austen: questa grande scrittrice ha sempre goduto, in Italia, di attenta considerazione (basti leggere certe pagine di Cecchi e di Praz, o il bel libro di Patrizia Nerozzi Bellman (Jane Austen, Bari, Adriatica Editrice 1973), ma il 1994 sembra annunciare l’inizio di una vera e propria fortuna. Ecco infatti che l’Abbazia di Northanger (nella ancor oggi suggestiva versione di Anna Banti e con una assai intelligente introduzione di Ornella De Zordo) è tra i libri con cui si apre la nuova collana di Classici diretta da Lucio Felici per l’editore Giunti di Firenze. Ed ecco poi che le edizioni Theoria di Roma (che avevano già pubblicato le opere della Austen, tra cui la stessa Abbazia) inaugurano un’edizione completa, prevista in nove volumi, delle opere austeniane (a cura di Malcolm Skey), con i primi tentativi letterari della scrittrice: Amore e amicizia, Catherine, ovvero la pergola e altri scritti giovanili (l’ottima traduzione è di Stefania Censi).

Primi tentativi e dunque sarebbe vano aspettarsi, da queste pagine spesso frammentarie di un’artista adolescente o addirittura bambina, da progetti non sempre portati a compimento, da scritti destinati ad un pubblico familiare (erano otto i figli del reverendo George Austen e di Cassandra Leigh), cui spesso venivano letti ad alta voce, quei risultati che si avranno solo a partire dall’Abbazia (scritto nel 1798-99, ma per varie vicende editoriali pubblicato postumo). Ma se si rinuncia a tale aspettativa e non si cerca in questi Juvenilia quel che non può esserci, la lettura può essere non solo ricca d’interesse ma invero affascinante. Quel che troviamo, infatti, è il primo laboratorio di quella che diventerà entro pochi anni una romanziera nel cui lavoro culmina la grande e ricca esperienza del romanzo e del saggio inglese del Settecento e si preparano le conquiste della narrativa dell’Ottocento (e anche del Novecento).

Beffa e parodia

È qui, in queste pagine divise ingenuamente e ironicamente dalla stessa Austen in Volume Primo, Secondo e Terzo, che la giovanissima apprendista (nata nella piccola città di Steventon, nello Hampshire, nel 1775, morirà a Winchester nel 1817) comincia a riversare l’esperienza delle sue molte letture (e si veda l’utile Introduzione di Malcolm Skey) in composizioni di vario genere, tra cui persino delle scene teatrali o una Storia d’Inghilterra o prove di saggi, ed è qui che fa i suoi primi, elaborati esperimenti narrativi, affrontando il romanzo sia attraverso il metodo epistolare appreso dall’amatissimo Samuel Richardson (Amore e amicizia, Lesley Castle) sia con strumenti più oggettivi (Evelyn, Catharine). È una tecnica ancora embrionale, quella di cui la Austen si va man mano impadronendo; e certo mancano, qui, la sapienza compositiva, la finezza della scrittura, la penetrazione psicologica, la complessità di visione e rappresentazione che saranno di grandi romanzi come Orgoglio e pregiudizio o Emma. E tuttavia proprio lo stato ancora in formazione del discorso consente di scorgere con chiarezza elementi, qui allo scoperto, che sottenderanno la narrativa successiva. Così, l’intento parodico da cui nasce l’Abbazia, splendida parodia del romanzo gotico (e una guida preziosa, in tal senso, la offrono le analisi sia di Ornella De Zordo sia di Beatrice Battaglia, nel suo La zitella illetterata, Ravenna, Longo, 1983, sia di Mirella Bitti in Il testo riflesso. La parodia nel romanzo inglese, Napoli, Liguori, 1993), sembra anche alla base di tutti questi scritti. E come la Storia d’Inghilterra, ad esempio, sbeffeggia le disposizioni agiografiche proprie di molta storiografia inglese, i brani narrativi prendono a modello e contemporaneamente dissacrano sia il romanzo gotico sia quello epistolare.

Matrimoni e svenimenti

Ad essere dissacrate del resto non sono soltanto le forme letterarie che la società inglese di fine Settecento coltiva, ma proprio quella società, quel mondo di provincia che la Austen successiva osserverà con maggiore penetrazione ma anche con maggiore tolleranza e simpatia, ma che qui viene aggredito con una violenza che si rivolge sia agli anziani sia ai giovani. È una Jane Austen contestatrice ante litteram quella che emerge da queste pagine e che, lungi dall’esaltare il mondo apparentemente aggraziato e felice in cui vive, sembra volerne mettere a nudo, con crudeltà impietosa e imprevista, la meschinità, la falsità, l’inconsistenza. Spesso il tono è comico, divertito: “Laura, mia adorata – mi disse poche ore prima di morire – vi sia di monito questa mia triste fine ed evitate di commettere l’imprudenza che ne sta all’origine… State attenta agli svenimenti… Per quanto sul momento possano sembrare ristoratori e piacevoli, da ultimo, credetemi, specie se si ripetono troppo spesso e nelle stagioni sbagliate, si dimostreranno rovinosi per la salute… Un fatale deliquio mi è costato la vita… Guardatevi dai deliqui, Laura mia… Perdete la ragione tutte le volte che vi pare, ma evitate di svenire” (p. 78). Ma altre volte il divertimento, o il nonsense che qui non manca (“Quando arrivammo era in visita da lei anche Augusta… La trovai esattamente come suo fratello l’aveva descritta: di taglia media”, p. 57) fanno luogo a un’asprezza memore di Swift: così una fanciulla commenta un incidente mortale prima di un matrimonio: “Non è possibile! In nome del cielo, che ne sarà di tutti quei cibi? Non riusciremo mai a mangiarli, si guasteranno prima. A ogni buon conto chiameremo il chirurgo ad aiutarci. Col filetto potrò farcela io da sola, la mamma mangerà la minestra e voi e il chirurgo dovrete finire tutto il resto”, p. 91. In effetti è un universo abbastanza agghiacciante quello che la piccola Jane disegna per sé e per il suo pubblico familiare. È un universo in cui tutte le amicizie sono fittizie, i sentimenti sono ispirati alla letteratura, i matrimoni si fanno per convenienza, il denaro domina dappertutto, ci sono i balli cari anche alla futura Jane Austen, ma sono soltanto il terreno e lo strumento della maldicenza, la cattiveria femminile, l’intrigo, l’invidia; c’è l’amore, ma scompare rapidamente quanto appare; c’è la morte, ma la sua stessa frequenza le toglie ogni carattere sacro o almeno serio. Il rigore morale, la fiducia in alcuni fondamentali valori umani che sosterranno i romanzi successivi compaiono qui soltanto in negativo, come assenza e non presenza. “La critica recente”, scrive Ornella De Zordo, “ha saputo cogliere, sotto la superficie levigata e apparentemente convenzionale della scrittura della Austen, una molteplicità e una ricchezza insospettata di significati”. Questi Juvenilia ci mostrano appunto quel che c’era sotto la superficie.

 

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3 commenti

  1. Jane Austen, mostrando di recepirle supinamente, ha invece sovvertito o comunque messo alla berlina le regole reggenti la compagine sociale in cui viveva e ha segnato da sola la linea di demarcazione tra un’epoca prettamente maschilista e materialista e la complementarità di un universo femminile parallelo, facendo intravedere la possibilità di un’esistenza autonoma, indipendente, appagata, risplendente di luce e vita propria per le donne.

  2. Questo articolo è rimasto ad ingiallire per un periodo piuttosto lungo, fra le pagine degli Juvenilia della cara zia Jane. Mi è ritornato il desiderio di rileggere le prime opere e l’ho ritrovato… quanti ricordi !

  3. Le opere giovanili cd. minori sono invece molto divertenti come quella scena in cui Jane scrive delle due amiche: …e svennero a turno sul sofà.
    ma un po’ dappertutto guizzano ironiche o burlesche battute per i soggetti e i temi offerti dal suo bagaglio culturale e letterario. Più che agghiaccianti le definirei disincantate e la critica distruttiva doveva costituire il passaggio obbligato per un’opera creativa assolutamente innovativa.

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