Perché amiamo Mr. Darcy

Apriamo la seconda giornata del nostro Speakers’ Corner con un arguto articolo di Patrizia Mureddu dal titolo molto promettente: Perché amiamo Mr. Darcy.

“Un bel romanzo”, ha detto qualcuno, “illumina di sé tutta la giornata”. C’è un romanzo che ha illuminato di sé tutta la mia vita, dal momento in cui l’ho scoperto, nell’ormai lontanissima estate dei miei quindici anni: a partire da quella prima lettura impaziente, l’ho ripreso in mano innumerevoli volte, assaporandone pagine, capitoli, capoversi e singole righe, senza stancarmi di ammirare l’acuta intelligenza a cui si devono la prosa perfetta, intrecciata con sottile ironia, la semplice finitezza della storia, e i personaggi incantevoli che si affacciano dalla remota distanza del loro mondo squisito, stupiti di essere ancora capaci di appassionarci.

Mr. Darcy (dopo una passeggera sbandata infantile per il capitano Nemo) è stato il primo uomo che abbia amato – per molti anni l’unico – e non ho mai realmente perdonato a Jane Austen la scaltrezza con cui lo tratta, nascondendone le straordinarie virtù per gran parte del romanzo, e riservando, ahimè, troppo poche pagine alla celebrazione del suo trionfo.uktv-death-comes-to-pemberley-6-200x300Naturalmente, so bene che la chiave dell’imperituro successo di questo capolavoro risiede proprio in questo: nel fatto che il personaggio su cui si addensano i peggiori sospetti riesca a fare innamorare di sé la lettrice di ogni tempo, tenendola in uno stato di segreto disagio fino al momento in cui, compiacendosi della propria perspicacia, ne può acclamare la piena riabilitazione. Credo anzi che per ottenere questo risultato l’autrice abbia giocato con grande abilità la carta dei ‘punti di vista’: nella prima parte del romanzo, fino al ballo di Netherfield, abbiamo il privilegio di gettare qua e là lo sguardo nell’intimo di Darcy, e di subirne il fascino – quanto basta per guardare con fastidio all’interesse che Elizabeth mostra di nutrire per Wickham. Al suo rientro in scena, invece, lo vediamo solo con gli occhi dell’ignara protagonista (ingenuamente capace di stupirsi di ritrovarselo continuamente tra i piedi lungo il sentiero che gli ha indicato come la sua passeggiata preferita…); e così la sua dichiarazione a Hunsford riesce a emozionarci, cogliendo anche noi, come lei, di sorpresa.

Però ho sempre avuto la sensazione che ci fosse un pizzico di cinismo nella scelta dell’autrice di sacrificare a questo scopo il buon nome di una sua creatura tanto affascinante – giungendo fino a consentirgli di pronunciare, negli ultimi capitoli, con generosità davvero eccessiva, frasi che sanno un po’ troppo di ravvedimento: una specie di ‘com’ero buffo quand’ero burattino’ che non può trovare d’accordo chi gli aveva dato incondizionatamente il cuore fin dal suo primo apparire. Amiamo Mr. Darcy anche per il suo orribile orgoglio: e la sua conversione è l’ultima cosa alla quale vorremmo assistere. Tanto che non credo di esser l’unica ad aver tratto un sospiro di sollievo nel constatare che in fin dei conti è ancora in grado di “shrug his shoulders” (“scrollare le spalle”) nell’ultimo volgere della storia, dopo che si è sorbito con urbana pazienza gli sproloqui augurali di Sir William Lucas….

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1 commento

  1. Come non condividere l’amore per Darcy?E’ stato senza ombra di dubbio uno dei miei primi innamorati letterari, e lo è stato anche e soprattutto perchè non è perfetto affatto, anzi! Ha un bel caratterino e l’orgoglio trovo che sia un “difetto” che può divenire anche una qualità se ben dosato.

Che cosa ne pensi?