Mansfield Park: determinare le intenzioni autorali

Nell’articolo che segue, tradotto dall’originale apparso nel 2005 nella rivista “Persuasions on-line”, l’autrice affronta diverse questioni, sia riguardanti in generale l’interpretazione delle opere letterarie, sia legate in modo specifico a Mansfield Park, mettendo particolarmente in luce quelli che definisce “azzardati fraintendimenti”, derivanti da letture che tendono a cercare nel testo non quello che effettivamente c’è, ma ciò che si desidera trovare in esso.

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Mansfield Park: determinare le intenzioni autorali
di Melissa Burns
V.26, NO.1 (Winter 2005)

Se già non lo è, dovrebbe essere una verità universalmente riconosciuta che l’interpretazione letteraria richieda da parte del critico un alto grado di diffidenza. Il problema di determinare le intenzioni autorali è quasi insolubile in assenza dell’autore, eppure resta lo scopo ultimo dell’analisi letteraria. Il campo degli studi letterari ha avuto negli anni ’60 una svolta radicale nel riflettere e analizzare la letteratura, con l’emergere di nuove scuole storiografiche dell’analisi letteraria (post-strutturalismo, post-colonialismo e femminismo inclusi), che sono diventate dominanti in questo campo per studiosi e studenti universitari. Queste scuole di pensiero si sono talmente avvicinate a uno degli estremi dello spettro interpretativo, che non solo hanno oscurato l’autore rispetto al testo, ma lo hanno del tutto eliminato. Mentre consentono ai lettori di determinare l’applicabilità a un testo dato, si tengono lontane dal tentativo di scoprire qualsiasi intento autorale originale. È difficile credere che uno scrittore, specialmente uno scrittore del diciannovesimo secolo, si sedesse a scrivere un romanzo di quattrocento pagine senza avere delle specifiche intenzioni, e che non sia uno degli scopi del lettore cercare di scoprire quali possano essere state le probabili intenzioni dell’autore.

L’ingannevole semplicità dei romanzi di Jane Austen fornisce un banco di prova ideale per cercare di accertare le intenzioni autoriali. Il paradigma di questo banco di prova sta nel paradosso esistente tra quello che conosciamo dei suoi romanzi e quello che sappiamo del suo mondo. Attraverso un’attenta lettura di Mansfield Park, e un’analisi di quattro temi fondamentali, quelli più comunemente discussi nelle recenti analisi critiche, siamo in grado di formulare delle ipotesi sul probabile intento autorale, e di esaminare quanto valore possa avere un simile esercizio. Esaminando in questo modo Mansfield Park, potremo puntare alla questione più generale di determinare le intenzioni di un autore rispetto al proprio lavoro, così come scoprire se valga la pena di cercare di conoscerle.

L’emergere dell’importanza del lettore nell’interpretazione letteraria inizia con l’eliminazione dell’autore; una strana contrapposizione, visto che l’uno non esiste senza l’altro. In “The Intentional Fallacy”, Wimsatt e Beardsley si affidano al testo in sé: “Il poema non è… dell’autore (è separato alla nascita dall’autore e se ne va per il mondo senza che egli abbia il potere di spiegarlo o di controllarlo) (946). Una volta che un’opera letteraria è completata e pubblicata, non è più proprietà dell’autore e diventa un’opera pubblica; quindi le intenzioni dell’autore devono essere interamente contenute nell’opera stessa, se ambiscono a diventare manifeste al lettore.

In “The Death of the Author”, Roland Barthes fa fare un passo ulteriore nell’eliminazione dell’autore. Ci sono almeno due modi diversi di leggere quell’articolo. Il primo è che l’autore dovrebbe essere distrutto, annientato, cancellato da un testo dato. Per esempio, la frase finale di Barthes, “la nascita del lettore dev’essere compensata dalla morte dell’autore” (1133), implica che l’uno non possa esistere insieme all’altro.
Tuttavia, c’è un’altra lettura possibile, una lettura più accomodante. La morte di cui parla Barthes, infatti, non è la totale rimozione dell’autore dal testo, ma piuttosto la rimozione del “culto della personalità” associato a un dato autore. “L’autore è un personaggio moderno”, dice Barthes, “prodotto senza dubbio dalla nostra società, così come emersa dal Medioevo, influenzata dall’empirismo inglese, dal razionalismo francese e dalla fede individuale della Riforma, che hanno valorizzato il prestigio dell’individuo, o, come diciamo noi più nobilmente, della ‘persona umana’” (1131). Barthes prende di mira la scrupolosa costruzione del volto pubblico di un autore. Questa costruzione avviene in parte attraverso la percezione del pubblico (ovvero, il pubblico ha una specifica immagine o idea in mente e l’autore modella la propria persona pubblica per adattarsi a un’immagine prestabilita più che correggere qualsiasi concezione errata). Nel caso di Jane Austen, tuttavia, questa scrupolosa costruzione prende una strada molto più rischiosa, dal punto di vista interpretativo.

Il culto della personalità che circonda Jane Austen fu inizialmente costruito dai familiari più stretti. La stessa Austen, nel corso della sua vita, volle restare anonima come autrice di romanzi. Ma la socievolezza del fratello maggiore, che a quel tempo fungeva da agente letterario, era impossibile da reprimere. La verità trapelò quando Austen era ancora viva, e lei potrebbe aver avvertito il peso di essere all’altezza del genere di donna che avrebbe dovuto essere secondo le aspettative del pubblico. Nella sua biografia della scrittrice, Claire Tomalin scrive, “Il segreto riguardante la Jane autrice stava iniziando a essere conosciuto in modo più ampio. Una certa Miss Burdett […] voleva esserle presentata. ‘mi sono piuttosto spaventata venendo a sapere che lei desidera essere presentata a me. Se sono un Orso, non posso farci nulla. Non è colpa mia’, si lamentava Jane” (238 [la citazione è da una lettera del 24 maggio 1813 alla sorella Cassandra]). Questa frase implica che Jane Austen fosse consapevole di come il pubblico percepisse una versione di lei stessa, come donna e come autrice, che avrebbe potuto essere diversa dalla realtà. Inoltre, non è certo “per colpa sua”, visto che la persona “Miss Jane Austen” fu creata dai fratelli, in particolare dal fratello maggiore Henry Austen, che fungeva da mediatore con gli editori. Questa immagine della persona fu più tardi ulteriormente promossa da James Edward Austen-Leigh, che pubblicò la prima biografia della zia Jane.

C’è un punto da evidenziare in questo processo, vale a dire che questa costruzione da parte della famiglia di una specifica persona “Miss Jane Austen”, autrice di sei romanzi, ostacola il processo interpretativo. L’ostacolo assume la forma di “bagaglio autorale”, in mancanza di una terminologia più eloquente. Nel caso di Jane Austen, il bagaglio autorale include l’idea di una zia garbata e pudica, che se ne sta seduta senza far nulla, con bei vestiti e sorseggiando tè. O, forse, ciò che viene suggerito è una pertinace zitella che rifiuta ottime proposte di matrimonio allo scopo di dedicarsi alla scrittura. C’è poi l’altra immagine, sicuramente più popolare nel periodo in cui visse, che la vede come la personificazione reale di un suo personaggio, Elizabeth Bennet, o come il talento comico che scrive burle per le nipoti. In The Jane Austen Book Club, Karen Joy Fowles scrive, “Ciascuno di noi ha una Jane Austen personale (”Premessa”), e come bagaglio autorale ogni lettore può in effetti avere una Jane Austen personale; ogni lettore può cogliere e scegliere dalle immagini che gli sono offerte quella che lo soddisfa o che soddisfa i suoi desideri, ma tutte o nessuna potrebbero essere state la vera Jane Austen.

La questione che riguarda il bagaglio autorale e l’interpretazione letteraria è semplice. La gente trova quello che va cercando. Sotto tutti i punti di vista, e lo studio della letteratura non fa eccezione. Le femministe che leggono Jane Austen possono trovare la sua arguzia, e talvolta aspri e violenti commenti contro gli uomini, il matrimonio e la mancanza di potere alle donne. Quando la leggono i teorici del post-colonialismo, trovano lo schiavismo e  un sostegno all’espansione coloniale dell’Impero Britannico. Quando la leggono i marxisti trovano i mali della famiglia come microcosmo esemplificativo dei più ampi mali sociali del mondo. Ce ne sono molto pochi che cercano la vera Jane Austen, e quelle che potrebbero essere state le sue intenzioni quando si metteva a scrivere i suoi romanzi. In questa ottica, la morte dell’autore è essenziale per l’interpretazione letteraria. Non è forse solo attraverso la morte dell’autore e lo svuotamento di questo bagaglio autorale che il testo emerge come perno centrale? e ogni interpretazione letteraria non dovrebbe forse cominciare dal testo?

Nell’avvicinarsi a Mansfield Park, senza concentrarsi sull’accurata costruzione del culto della personalità di Jane Austen, quattro temi interpretativi entrano in gioco come perno centrale: ordine (radice latina ordo), schiavitù e impero (vedi “Jane Austen and Empire” di Edward Said), il Bildungsroman nel contesto stesso del romanzo, e, infine, il matrimonio. Questi temi agiscono insieme per rivelare ciò che Austen potrebbe aver voluto che i lettori comprendessero con Mansfield Park.

Perché l’ordine è significativo per determinare le intenzioni autoriali? Perché il tema dell’ordine assume tre forme distinte, e quando in un’opera letteraria c’è una ripetizioni non deve essere ignorata (rammentate, quanto si interpreta la letteratura è richiesto un alto grado di diffidenza). Nel testo del romanzo c’è l’ordine di Mansfield Park paragonato al caos di Portsmouth; c’è, letteralmente, l’ordinazione di Edmund come sacerdote della Chiesa d’Inghilterra, e, infine, c’è il destino preordinato di Fanny Price a diventare la vera erede di Mansfield Park.
L’ordine di Mansfield Park è paragonato al caos dei parenti di Portsmouth. Il narratore austeniano descrive così questo contrasto:

Questa era la casa che avrebbe dovuto farle dimenticare Mansfield, e insegnarle a pensare al cugino Edmund con sentimenti più equilibrati. Al contrario, non riusciva a pensare ad altro che a Mansfield, ai suoi amati abitanti, al suo sereno stile di vita. Nel luogo in cui si trovava era tutto il contrario. L’eleganza, il decoro, l’ordine, l’armonia… e forse, soprattutto, la pace e la tranquillità di Mansfield, le ritornavano in mente in ogni momento del giorno, a causa del prevalere di tutto ciò che vi era di opposto dove si trovava ora. (391 [cap. 39])

Mansfield Park è rappresentato come un luogo di quieta contemplazione, di lindore, ma anche di ordine sociale. Quando Sir Thomas è presente, è preservato un rango sociale ben delineato; in sua assenza, questo senso di ordine sociale si deteriora insieme all’ordine morale di tutti i personaggi presenti, con la sola eccezione di Fanny. Questa immagine rafforza l’immagine di Mansfield Park come un luogo di ordine, così come quella di Sir Thomas Bertram e del suo ruolo in famiglia come presupposto per quell’ordine.

In Mansfield Park, uno dei personaggi principali (il secondo figlio, Edmund Bertram) sceglie la chiesa come professione ed entra nel sacerdozio. La scelta lo pone di fronte ad alcuni conflitti e discussioni con la donna che desidera sposare. La scaltra  e sofisticata Mary Crawford, cresciuta a Londra, disapprova quella scelta. I capitoli di Sotherton diventano il terreno propizio per le differenza tra loro su questo argomento. Mary Crawford esprime le sue obiezioni, “Ma perché diventare un ecclesiastico? […] Perché che cosa si può fare nella chiesa? Gli uomini amano distinguersi, e in un modo o nell’altro [soldato, marinaio, avvocato o erede] ci si può distinguere, ma non nella chiesa. Un ecclesiastico non è nulla.” (92 [cap. 9]). La risposta di Edmund, citata spesso, difende la scelta di quella professione. Vi si legge:

Un ecclesiastico non può raggiungere le vette della società o della moda. Non deve capeggiare le folle, o dettar legge nel vestire. Ma non posso chiamare nulla questa posizione, che si occupa di tutto ciò che è di primaria importanza per l’umanità, sia in senso collettivo che individuale, sia temporalmente che nell’eternità, che ha in custodia la religione e la morale, e di conseguenza i costumi che risultano dalla loro influenza. Nessuno di noi può chiamare nulla questo ufficio. Se lo è l’uomo che lo esercita, ciò deriva dal trascurare i propri doveri, dal sottovalutarne la giusta importanza, uscendo dall’ambito che gli spetta per sembrare ciò che non dovrebbe sembrare.” [cap. 9)

Edmund sta dicendo implicitamente che un ecclesiastico – almeno, un buon ecclesiastico – è portatore di ordine, e quando non fa il proprio dovere e “esce dall’ambito che gli spetta” il risultato è il caos. Questo significa la dichiarazione di Edmund, non solo ciò che dovrebbe essere un ecclesiastico ma anche ciò che desidera essere lui stesso. Fanny Price viene separata dalla sua famiglia di Portsmouth e condotta a Mansfield Park per essere cresciuta ed educata dalle sorelle della madre. Nel corso della sua permanenza lì diventa evidente al lettore che per lei c’è il destino preordinato di diventarne l’erede, non per nascita ma per merito. In Fanny, i Bertram trovano la loro vera figlia. Le figlie legittime, Maria e Julia, scadono nella licenziosità. Che Fanny sia la figlia che i Bertram avrebbero dovuto avere è evidente non solo dal suo carattere tutto d’un pezzo e dalla sua pazienza, ma anche dal ruolo che gioca all’interno delle dinamiche familiari. Sposando Edmund, diventa legalmente la figlia predestinata.

Il tema dell’ordine, come descritto in questi esempi nel testo, crea per il lettore un modello prestabilito da seguire. Per comprendere Mansfield Park, e quello che Austen intendeva che comprendessero i lettori nel suo testo, non possiamo ignorare modelli ripetitivi come questo, un modello che rispecchia il ciclo di vita a Mansfield Park: inizio nell’ordine, discesa nel caos e riemergere dell’ordine. L’ordinazione è un argomento di crescenti discussioni e resistenze tra Edmund e Mary Crawford. Il preordinato destino di Fanny, anche se mai reso esplicito, è messo ripetutamente in contrasto con il comportamento dei figli legittimi dei Bertram. Riconoscendo questo modello, i lettori sono in grado di capire con più chiarezza ciò che Austen può aver inteso far comprendere loro.

Il tema che ha di gran lunga attirato l’attenzione maggiore nei due decenni appena trascorsi è quello della schiavitù. Forse questa attenzione è dovuta all’evoluzione dei nuovi studi storici, forse alla maggiore consapevolezza sociale, ma, quale che ne siano i motivi, concentrarsi sulla schiavitù ha generato azzardati fraintendimenti riguardo a Mansfield Park. In “Jane Austen and Empire”, Edward Said cerca di mettere in luce la questione della schiavitù e della tratta degli schiavi all’interno del romanzo. In effetti, egli esamina gli elementi riguardanti la schiavitù, o che la riguardano in modo implicito, da una prospettiva che appartiene al ventesimo secolo, e quindi cerca di amplificare quei pochi elementi allo scopo di inserire Mansfield Park in un dibattito rispetto al quale il romanzo è praticamente estraneo.

Pur ricordando il fatto che i lettori e i critici trovano in un testo quello che vanno cercando, bisogna anche riconoscere che non si può trovare qualcosa se davvero non c’è. In Mansfield Park ci sono elementi tematici che riguardano la schiavitù. Ci sono riferimenti diretti a una tenuta ad Antigua posseduta da Sir Thomas, e in questo riferimento è implicito che in quella piantagione ci siano degli schiavi; questa implicazione non è mai dichiarata esplicitamente. Il romanzo è stato scritto, ed è ambientato, in un periodo in cui nell’Impero Britannico la schiavitù era ancora praticata, anche se l’acquisto e la vendita di schiavi era ormai illegale. Tuttavia, c’è un solo riferimento diretto alla schiavitù, e per questo motivo è imprudente ritenere che qualsiasi significato nel testo risieda esclusivamente (o saldamente) nella schiavitù, o, quanto a questo, dare un peso interpretativo troppo ampio a un riferimento testuale così esiguo. In Mansfield Park ci sono forse una dozzina di riferimenti ad Antigua, ma solo ad Antigua e agli affari che lì ha Sir Thomas; c’è un unico riferimento diretto alla tratta degli schiavi. Fino a quando ci sarà solo il testo in sé, completato da Austen e diffuso al pubblico così com’è, se i lettori possono desumere un qualche intento autorale dal testo, debbono limitarsi a quello. E con una tale assenza di evidenze testuali, come possono i lettori argomentare sul fatto che Mansfield Park sia un romanzo sulla schiavitù?

Il primo problema che sorge con le ipotesi di Edward Said è che esso richiede che non solo il lettore ma anche Jane Austen abbia letto con un “anticipo” di quasi un secolo. Sicuramente questa lettura anticipata è impossibile, anche per Austen. Said scrive:

Innanzitutto dovremmo cominciare con il fare un inventario delle prefigurazioni, in Mansfield Park, della successiva storia inglese nel modo in cui vengono registrate nella narrativa. L’utile possedimento coloniale dei Bertram può essere visto come una prefigurazione della miniera di San Tomé di Charles Gould in Nostromo, o  indella “Imperial and West African Rubber Company” dei Wilcox in Casa Howard di Forster, o die quei luoghi ricchi di tesori, distanti ma assai redditizi, presenti in Grandi speranze, ne Il grande mare dei Sargassi di Jean Rhys [ecc…] Se pensiamo a questi altri romanzi, l’Antigua di Sir Thomas acquisisce immediatamente maggior spessore rispetto alla sua apparizione discreta e sfumata nelle pagine di Mansfield Park. [Said, 119]

Come può la schiavitù essere un elemento significativo di Mansfield Park se i lettori non sono in grado di trovare nel testo dei solidi riferimenti alla tratta degli schiavi? Come può la schiavitù essere considerata un tema dominante se i lettori debbono prima pensare in anticipo ad altri romanzi mentre leggono della tenuta di Antigua e dell’implicita presenza di schiavi in quel luogo? Perché Edward Said ha scelto questo testo, se è impossibile per qualsiasi lettore trovarvi in modo esplicito la tratta degli schiavi? La risposta è semplice. Said sembra sfruttare il bagaglio autorale implicito nel nome di Jane Austen. Egli scrive questo articolo per il suo pubblico specifico, coloro che non leggeranno nulla di o su Jane Austen, così come Forster, Conrad, Rhys o Dickens. L’analisi di Said sulla tratta degli schiavi e sulle pratiche connesse con tale commercio è inoppugnabile, ma si occupa del testo di Mansfield Park in modo talmente insoddisfacente che ci si chiede perché mai l’abbia fatto.
Edward Said si sofferma brevemente a esprimere i suoi dubbi sull’argomento, quando scrive:

Tutte le testimonianze ci dicono che persino gli affari di ordinaria amministrazione relativi al possesso degli schiavi in una piantagione di zucchero nelle Indie Occidentali erano intrisi di crudeltà. E tutto ciò che sappiamo di Jane Austen e dei suoi valori è in netto contrasto con la crudeltà della schiavitù. Fanny Price rammenta a suo cugino che dopo aver fatto una domanda a Sir Thomas sulla tratta degli schiavi “Vi era un tale silenzio!”, quasi a suggerire che i due mondi non potevano essere messi in relazione l’uno con l’altro semplicemente perché privi di un linguaggio comune. Ciò è vero. [121]

Non c’è un linguaggio comune per Jane Austen e per la tratta degli schiavi perché quest’ultima non era la storia che lei stava scrivendo. Questa analisi post-coloniale è una lettura interessante, come mezzo per portare lettori e studiosi al testo originale, ma quella interpretazione non è ciò che Jane Austen intendeva.

Un tema più significativo è quello del Bildungsroman, il romanzo di formazione sul passaggio all’età adulta. Dato che il procedere della storia coincide con la maturazione di Fanny Price, non dovrebbe, in realtà non può, essere ignorato. È una maturazione contrassegnata nel testo dal riferimento di Edmund ai commenti di Sir Thomas. Egli dice:

“Tuo zio ti ritiene molto graziosa, cara Fanny, ecco come stanno le cose. Tutti tranne me avrebbero accentuato ancora di più la cosa, e tutte tranne te si sarebbero risentite per non essere state ritenute già da prima molto graziose; ma la verità è che tuo zio finora non ti aveva mai ammirata, e ora ti ammira. La tua carnagione è così migliorata! e hai acquistato una tale espressione nel volto! e la tua figura… no, Fanny, non schermirti per questo… è solo uno zio. […] Devi davvero cominciare a familiarizzarti con l’idea di essere degna di essere guardata.” [cap. 21]

Il riferimento diretto di Edmund alla figura di Fanny è tutto ciò di cui ha bisogno il lettore per sapere che sicuramente Fanny Price non è più una bambina. Ha il corpo di una donna, quindi è pronta per le attenzioni maschili e per il matrimonio.

Il bello delle interpretazioni letterarie è che ci sono un gran numero di strati attraverso i quali si possono estrarre significati. In superficie, Mansfield Park è semplicemente la storia di una ragazzina, portata via dalla sua casa e dalla sua famiglia, che nella sua intera esistenza non ha conosciuto altro che povertà e noncuranza; poi è collocata tra parenti ricchi, che la educano ma nel contempo la deridono e la trattano male, e che hanno poco, se non nulla, a che fare con lei; è attraverso questa esperienza che Fanny Price cresce. Tutto qui. Il brano citato sopra illustra questo fatto. Lei attraversa la pubertà, l’adolescenza e tutto ciò che questo implica, e alla fine del romanzo diventa se stessa. Questa interpretazione è semplice e ovvia, ma può complicarsi seguendo la successione degli eventi.

Quando Fanny Price arriva a Mansfield Park ha dieci anni, l’ultimo anno della sua fanciullezza. Alla fine del romanzo ne ha diciotto ed è carne pronta al matrimonio. Claudia Johnson riprende questo tema in “What Became of Jane Austen? Mansfield Park”. In questo articolo scrive che “al culmine del suo talento, Austen, in Mansfield Park, affronta la considerevole sfida di creare, con grande vicinanza, un’eroina profondamente introversa, che trascorre gran parte del romanzo sentendosi non al passo con uno sviluppo sessuale e con sentimenti che la gente di aspetta da lei come naturali, inevitabili e normali” (63). L’esempio dello sviluppo fisico di Fanny Price da solo significa relativamente poco, dato che è pur sempre un personaggio immaginario, ma se inserito nel contesto di altre immagini di maturità femminile, di sessualità e di crescita, la sua situazione assume un nuovo significato interpretativo.

Per esempio, i lettori vedono la Fanny Price matura alla luce dell’arrivo dei Crawford. Mary Crawford è la donna della quale Edmund immagina di essere innamorato per gran parte del romanzo. Come termine di paragone con Fanny Price è un personaggio interessante. Fanny è modesta, tranquilla e riservata; Mary è appariscente, sicura di sé ed esplicita (le sue schermaglie con Edmund sono degli ottimi esempi). Fanny è sedentaria: sta seduta e pensa, sta seduta e ascolta, sta seduta e aiuta la zia Bertram. Mary è in perpetuo movimento: passeggia, cavalca, balla e conosce vari giochi di carte. Fanny decide che “non può recitare” [cap. 5], mentre tutta Mansfield Park è in fermento per una recita casalinga; Mary assume il ruolo guida femminile. Fanny è la prima ad accorgersi con sgomento e a condannare il comportamento di Henry Crawford nei confronti di Maria Bertram (poi Rushworth), mentre Mary giustifica regolarmente il comportamento del fratello e ne perdona anche i gesti peggiori.

Mary non è l’unico personaggio femminile a rappresentare il contrasto con Fanny e quindi a metterne in luce il processo di formazione. Le cugine di Fanny, Maria e Julia Bertram, giocano un ruolo analogo nell’illustrare la sua maturazione. Maria e Julia sono entrambe più grandi di Fanny e hanno conosciuto solo una vita di agi, privilegi e istruzione; come tali, avrebbero forse dovuto rendere un po’ più facile la vita alla cugina, anche spiegandole i fondamentali, mi si passi l’espressione. Invece la deridono per la sua ignoranza e fanno a meno di lei quando non si dimostra più utile. L’arrivo dei Crawford nel vicinato mette in luce la loro sessualità e la loro disinvoltura in società, proprio come lo stesso avvenimento fa con la timidezza e il disagio di Fanny. Maria porta avanti un ostentato flirt con Henry Crawford solo per fuggire con lui dopo il matrimonio con Mr. Rushworth. Mary Crawford, Maria Bertram (poi Rushworth) e Julia Bertram (poi Yates) servono tutte e tre ad amplificare nella trama il tema del Bildungsroman. Poiché è una scelta deliberata di Austen situare il calendario del romanzo intorno allo sviluppo e alla maturazione di Fanny Price, questo tema si evolve, agli occhi del lettore, come uno dei suoi intenti narrativi.

L’ultimo tema, il matrimonio, è fittamente intrecciato con la sessualità femminile. La parte più significativa della discussione, più che il fatto che due persone si sposino è per quale motivo ci siano personaggi di questo romanzo che si sposino. Durante il corso degli eventi, ci sono quattro matrimoni, e ci sono quattro diversi punti di vista sul matrimonio.
Il primo personaggio a sposarsi è Maria Bertram, che sposa Mr. Rushworth per nessun’altra ragione se non la più ovvia: il denaro. Sir Thomas scorge la verità sul rapporto della figlia con il fidanzato: Mr. Rushworth è “un giovanotto da poco, ignorante negli affari quanto nei libri, con opinioni generalmente incerte, e senza esserne lui stesso molto consapevole” [cap. 21]. Fredda, trascurata e indifferente, a Maria ovviamente “lui non piaceva”. Il narratore va avanti spiegando come Maria si prepara al matrimonio. “Lei aveva completato tutti i preparativi interiori, dato che era indotta al matrimonio dall’avversione verso la sua casa, le restrizioni e la troppa quiete; dall’infelicità di un affetto deluso, e dal disprezzo per l’uomo che si accingeva a sposare” [cap. 21]. L’unica giustificazione mai fornita per la sua attrazione verso Mr. Rushworth è il suo denaro; l’unica giustificazione per quel matrimonio è il suo desiderio di “indipendenza”. Anche se i problemi finanziari compaiono in molte delle discussioni matrimoniali nei romanzi di Austen, in Mansfield Park c’è una condanna specifica di questa tattica mercenaria, ed è questa condanna, ripetuta e categorica, che non può essere ignorata.

Tony Tanner, in “The Quiet Thing: Mansfield Park”, descrive i punti di vista di Mary Crawford sul matrimonio. Scrive, “Mary, per esempio, considera il matrimonio come ‘una faccenda di manovre’, e una vera londinese ritiene che ‘Una buona entrata è la ricetta migliore per la felicità di cui io abbia mai sentito parlare.’” (154 [le citazioni da MP sono dai capp. 5 e 22]). Mary Crawford è l’anomalia matrimoniale di Mansfield Park. Si “innamora” di Edmund, nel frattempo desidera la morte del fratello maggiore, Tom, affinché Edmund diventi l’erede delle terre e del titolo del padre, e con le terre delle entrate. Lascia Mansfield Park “fermamente decisa a non affezionarsi mai più a un figlio cadetto, [ma Mary] ci mise molto a trovare, tra brillanti membri del parlamento o indolenti eredi legittimi […] qualcuno in grado di soddisfare il maggiore buongusto che aveva acquisito a Mansfield” [cap. 48]. Austen si ferma bruscamente nel fornirci i dettagli del matrimonio di Mary, suggerendo soltanto che ci volle un po’ per trovare qualcuno di adatto, non che fosse del tutto impossibile.

Julia Bertram è forse la più patetica delle tre. Maria le chiede di accompagnarla nella luna di miele, e più tardi la porta con sé a Londra, dove Julia comincia a flirtare con l’amico di Tom, Mr. Yates. Dopo la fuga di Maria con Henry Crawford, Julia, messa di fronte al ritorno alla solennità di Mansfield Park, fugge con Mr. Yates. Poco ci viene rivelato circa questa fuga, salvo il fatto che Julia

gli aveva permesso talvolta di rivolgerle delle attenzioni, ma senza quasi mai pensare di poterlo accettare; e se la condotta della sorella non avesse prodotto quello scandalo, e non avesse accresciuto in lei il terrore del padre e della casa paterna in quel momento – cosa che le aveva fatto immaginare che, come sicura conseguenza per se stessa, ci sarebbero state maggiore severità e maggiori restrizioni – facendole decidere in fretta di evitare a ogni costo quegli orrori immediati, è probabile che Mr. Yates non avrebbe avuto successo. [cap. 48]

Julia fugge con Mr. Yates per fuggire dalla casa paterna.
Fanny Price ò l’unica delle quattro giovani donne in età da matrimonio che in effetti sposa l’uomo che ha scelto, e per amore. I lettori apprendono subito dal testo del suo forte attaccamento a Edmund, dovuto alla gentilezza mostratale nell’infanzia. La tensione cresce e progredisce quando Edmund si strugge per Mary Crawford; ma, alla fine, Fanny viene ricompensata per la bontà del suo carattere e per essere, contrariamente alle altre donne del romanzo, la sola ad avere una forte fibra morale. Austen ricompensa la sua superiorità morale alla fine: “nel momento un cui sarebbe stato del tutto naturale aspettarselo, e non una settimana prima, Edmund smise di pensare a Miss Crawford, e divenne tanto impaziente di sposare Fanny quanto la stessa Fanny avrebbe potuto desiderare. [cap. 48]. Per inciso, questo è l’unico matrimonio complicato da questioni di sessualità, dato che Fanny e Edmund, in effetti cugini di primo grado, sono cresciuti come fratello e sorella.

Claudia Johnson scrive che la maggior parte delle persone ritiene erroneamente che i romanzi di Jane Austen siano pudibondi, mentre di fatto sono intrisi di sessualità. Johnson trova che “per quanto non si tratti legalmente di un incesto”, il rapporto tra Fanny e Edmund è “troppo emotivamente vicino” (66), e sostiene che questo tipo di relazione è il motivo per cui l’amore tra i due è contaminato dall’imbarazzo. Eppure Fanny e Edmund sono i due soli personaggi del romanzo che risultano moralmente simili. Henry Crawford, che fa la corte a Fanny, è così moralmente corrotto da rendere manifesto a tutti, tranne a lui stesso, che i due non potranno mai sposarsi; lo stesso accade con il rapporto tra Edmund e Mary Crawford. L’onnipresenza del matrimonio in tutto il corso del romanzo rende impossibile ignorarlo ed è un chiaro segnale delle intenzioni austeniane.

E. D. Hirsch afferma che “nessuno può stabilire con certezza le intenzioni di qualcun altro. Lo scopo di chi interpreta è semplicemente quello di dimostrare che una data lettura è più plausibile di un’altra” (236). Questo scopo non è solo appannaggio di chi interpreta, è lo scopo di qualunque lettore stabilire le intenzioni di qualcun altro, e non è ristretto alla letture e all’analisi: dal tavolo di colazione all’aula sciolastica, o al salone di un congresso, tutti gli esseri umani senzienti e propensi a socializzare tentano di capirsi l’uno con l’altro, di interpretare intenzioni e significati attraverso parole e gesti. P. D. Juhl scrive che “tutte le grandi opere letterarie sono inesauribili, e ogni età deve comprenderle a suo modo o nei termini che le sono propri” (36). Questa inesauribilità spiega perché, dopo quasi duecento anni, ci sono interpretazioni di Mansfield Park come un testo sulla schiavitù, sulla sessualità o su qualsiasi altro argomento tipico dell’attualità.

In Mansfield Park Jane Austen torna su alcuni temi che ricorrono in diversi personaggi e situazioni; tuttavia, questi temi si avviluppano insieme, formando un insieme coeso. C’è un filo rosso che scorre attraverso il romanzo, e mentre le intenzioni austeniane sul significato o i significati dell’opera sono impossibili da determinare con certezza, il filo dell’autenticità individuale è pervasivo, e si intreccia con i quattro temi principali che ho descritto.

Conosci te stesso. L’autenticità individuale si manifesta nel romanzo in tutti i temi e in tutti i personaggi principali. Fanny Price, ovviamente, essendo il personaggio centrale, ne è l’esempio primario. È l’unico personaggio che conosce se stesso; non agisce, non può agire, in contrasto con il proprio carattere. Austen usa la recita casalinga, allestita in assenza di Sir Thomas, per illustrare quanto siano rapidi alcuni personaggi (Henry e Mary Crawford, Maria, Julia e Tom Bertram, Mr. Yates) a rinunciare alle loro individualità recitando ruoli diversi, qualsiasi ruolo nel contesto della commedia. E per alcuni di loro, Henry Crawford e Maria Bertram in particolare, quei ruoli proseguono anche al di fuori del mondo della recita.

Edmund mette in gioco la propria autenticità confrontandosi con Mary Crawford sulla professione che ha scelto. Avrebbe dovuto abbandonare la chiesa a favore dell’esercito o della legge, ma conosce abbastanza se stesso per rifiutare quelle professioni così incoerenti con il proprio carattere. Incurante degli scherni di lei, dei suoi argomenti e del suo aperto disgusto per quella carica, prende risolutamente gli ordini e va avanti con i progetti che aveva fatto per il futuro. Resta autenticamente se stesso di fronte ai tentativi di lei di cambiarlo e manipolarlo per condurlo a qualcosa di diverso.
Anche Mansfield Park ha in se un’autenticità. È il luogo designato da Austen per rappresentare la possibilità di tutto ciò che è buono, ordinato, tranquillo e morale. L’assenza di Sir Thomas porta a un deterioramento di quell’autenticità, che però si riafferma con il suo ritorno, e anche in sua assenza continua a vivere in Fanny Price.

Henry Crawford difetta di consistenza e autenticità individuale. Attore consumato, Henry recita costantemente un ruolo; quando non lo fa in senso letterale, come nella recita casalinga, lo fa in senso figurato, come seduttore di Maria Rushworth, corteggiatore di Fanny Price o protettore di William Price. In quattrocento pagine non pronuncia mai un frase che sia autenticamente sua; sembrano tutte scritte per un attore sul palcoscenico più che per un individuo in un romanzo. Analogamente, Maria e Julia Bertram scivolano facilmente nell’idea di essere innamorate di lui, poiché anche loro mancano di autentica individualità, e assumono le caratteristiche di coloro che le circondano. Per esempio, quando Maria va a Londra con il marito e la sorella, la cattiva influenza della città si manifesta nelle due donne quasi immediatamente.

In tutto il suo processo di formazione, Fanny Price è l’unico personaggio che cresce restando con fermezza e genuinità se stessa. È circondata da persone alle quali manca autenticità, che negano se stesse, o che sono incapaci di mantenere intatta la propria individualità, e così rinunciano a farlo. Subisce delle pressioni affinché sposi un uomo che non nessuna autenticità, oltre a quelle per abbandonare la propria e diventare sua moglie. In mezzo alle turbolenze provocate dalla corte di Henry Crawford, dalla promozione del fratello William e dal suo esilio a Portsmouth, lei resta ferma e risoluta. Conosce se stessa, e non può negare il proprio io più di quanto la terra o le stelle possano negare la propria esistenza e le regole che la governano. È una perfetta armonia tra natura e arte focalizzata su un personaggio centrale: Fanny Price.

E quindi? Qual è il punto fermo nell’intento autorale, nell’interpretazione e nel significato, visto che non ne esiste uno che metta d’accordo tutti? Juhl scrive, “è ragionevole partire dal presupposto che alcune opere sopravvivono non solo perché sono ancora capaci di soddisfare alcuni bisogni emozionali, ma anche perché continuano ‘a dirci qualcosa’” (225). Mansfield Park continua a suscitare così tante discussioni, dibattiti e reazioni veementi e viscerali perché i problemi che pone sono problemi umani, senza tempo, in quanto sono esistiti ed esisteranno, in una forma o nell’altra, fino a quando esisteremo noi; o forse perché le intenzioni dell’autore sono praticamente inconoscibili dai lettori, che però avvertono come se esistesse un premio finale per il quale vale la pena di cercare. Il linguaggio dei romanzi di Austen è ingannevolmente semplice, ma leggendola e rileggendola si comincia a vederne la complessità, insieme alla profondità dei temi e dell’intreccio.

L’importanza dell’autenticità individuale è che, come razza, gli esseri umani lottano ancora per stabilire le loro personali autenticità, da soli e collettivamente. Resta la verità che gli umani, come tutti gli altri mammiferi, adottano le caratteristiche di coloro che li circondano allo scopo di sopravvivere, e così facendo una parte della loro individualità viene cancellata dall’intero. Nell’affermare che le opere letterarie vengono lette e rilette da ogni generazione poiché “continuano a dirci qualcosa”, P. D. Juhl individua un punto sostanziale: che la letteratura, la vera letteratura, continua a essere rilevante senza riguardo a quanto sia vecchia, o a quanto lo siano temi e intrecci. Ed è letteratura come l’ha intesa l’autore, più che come la interpretano gli studiosi allo scopo di mettere in evidenza le proprie idee e ambizioni, che resta come perenne capolavoro.

Non vi è nessuna certezza in questa interpretazione. Non c’è nessun manuale che definisca come leggere i romanzi di Jane Austen e che cosa i lettori traggano da essi. Questo silenzio è proprio il motivo per cui continuano a essere letti e riletti da ogni generazione. C’è un incanto, un mistero da risolvere. Ci sono solo probabilità; questa interpretazione è probabile nella misura in cui si dimostra aderente a quattro dei temi centrali che sono evidenti in ciò che Jane Austen ha scritto. Al di là di questo, non vi sono certezze. È una verità universalmente riconosciuta che quando si interpreta la letteratura è richiesto un alto grado di diffidenza.

OPERE CITATE

  • Adams, Hazard, ed. Critical Theory since Plato. USA: Thomson Learning Inc, 1992.
  • Austen, Jane. Jane Austen’s Letters. Ed. Deirdre Le Faye. New York: Oxford UP 1997 [Lettere, in jausten.it].
  • _____.Mansfield Park. Ed. R.W. Chapman. 3rd ed. Oxford: OUP, 1986 [Mansfield Park, in jausten.it].
  • Barthes, Roland. “The Death of the Author,” in Critical Theory since Plato. Hazard Adams, ed. USA: Thomson Learning Inc, 1992. 1130-33.
  • Fowler, Karen Joy. The Jane Austen Book Club. New York: G. P. Putnam’s and Sons, 2004.
  • Hirsch Jr., E.D. Validity and Interpretation. New Haven: Yale UP, 1967.
  • Johnson, Claudia L. “What Became of Jane Austen? Mansfield Park.” Persuasions 17 (1995): 59-70.
  • Juhl, P. D. Interpretation: An Essay in the Philosophy of Literary Criticism. Princeton: Princeton UP, 1980.
  • Said, Edward. Culture and Imperialism. New York: Vintage Books, 1993 [Cultura e imperialismo, traduzione di Stefano Chiarini e Anna Tagliavini, Gamberetti Editrice, Roma, 1998].
  • Tanner, Tony. Jane Austen. Cambridge: Harvard UP, 1986.
  • Tomalin, Claire. Jane Austen: A Life. New York: Vintage Books, 1997.
  • Wimsatt, W. K. and Monroe C. Beardsley. “The Intentional Fallacy.” Critical Theory since Plato. Hazard Adams, ed. USA: Thomson Learning Inc, 1992. 945-51.

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Contributors retain their individual copyrights. Link all’articolo originale:
http://www.jasna.org/persuasions/on-line/vol26no1/burns.htm
Traduzione e pubblicazione on-line autorizzata da “JASNA-Persuasions on-line”, che non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.

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4 commenti

  1. Trovo questo articolo molto interessante, è accademico e complesso, occorre sorseggiarlo con calma per comprenderlo a fondo, ma sono d’accordo con l’autrice su molti punti. Grazie come al solito per la traduzione!

    1. Hai ragione Clara, è un articolo complesso e interessante. Sembra un prisma, con molte sfaccettature che cambiano colore secondo come le guardi. Un po’ come il romanzo di cui parla.

  2. E’ sicuramente vero che il linguaggio dei romanzi di Jane Austen è ingannevolmente semplice e che il piacere e l’interesse procurati ad ogni lettura si rinnovano.

  3. Articolo interessantissimo, mi trovo assolutamente d’accordo sulla questione che ognuno in un libro trovi quello che vuole trovarci, magari anche seguendo l’idea che si è fatta sull’autore in maniera più o meno fondata.
    Riconosco quindi che la critica letteraria sia un ambito davvero complesso, perchè è effettivamente impossibile giudicare gli intenti dell’autore senza farsi guidare dalle proprie concezioni. E’ vero anche che ci sono intenti più evidenti di altri e che il lavoro di analisi di un testo può porre l’accento su tali questioni anche per quei lettori che non erano ugualmente pronti a notarli da soli.

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