Giovani studiosi dialogano con JASIT: intervista ad Alessandra Stoppini

Una delle tante missioni di JASIT è quella di tentare di dare il giusto valore al lavoro dei giovani studiosi italiani. Numerosi diplomandi, laureandi o laureati in letteratura o traduzione dedicano le loro fatiche alla scrittura di Jane Austen, però, come spesso accade, le loro tesi o i loro contributi finiscono in polverosi archivi inaccessibili al pubblico e rischiano immeritatamente di cadere nell’oblio. JASIT vuole tentare di ovviare a questa realtà offrendo il suo spazio alle idee di giovani pensatori italiani che hanno trovato in Austen un importante spunto di riflessione letteraria.
La nostra ospite oggi, per la rubrica «Giovani Studiosi dialogano con JASIT», è Alessandra Stoppini, attualmente giornalista professionista, che si è laureata all’Università Cattolica di Milano con una tesi di Semiotica del Cinema dedicata a Jane Austen e in particolar modo a Persuasione.

1) Alessandra, grazie del tempo che ci dedichi. Prima di tutto ti chiedo come mai hai scelto Persuasione come focus della tua ricerca.
Dopo aver raccolto e catalogato molto materiale didattico e una bibliografia importante, nel 2007-2008 ho scritto la tesi annuale in Semiotica del Cinema, uno dei miei corsi fondamentali. Ho scelto questa disciplina dopo aver frequentato l’appassionante corso tenuto dal professor Armando Fumagalli, uno dei docenti che più animano l’Università Cattolica, direttore del master in Scrittura e Produzione per la Fiction e il Cinema e consulente Lux Vide. Il professor Fumagalli, durante il suo corso monografico, analizzò alcuni film esemplari per struttura e sceneggiatura (analisi reperibile nel suo libro I vestiti nuovi del narratore); in primis, Ragione e sentimento di Ang Lee. Inutile sottolineare la mia soddisfazione, il mio entusiasmo, nel vedere corrisposta a livello accademico la mia grande passione per Jane Austen, della quale sono estimatrice da quando a 13 anni lessi per la prima volta Orgoglio e pregiudizio. Ho apprezzato l’imprinting dato dal docente, che – una volta superato l’esame, riguardante le teorie della Semiotica – mi ha accettata come tesista. Abbiamo ragionato insieme per capire quale adattamento austeniano focalizzare, tra i tanti. La scelta è caduta sul film che molti critici ritengono più vicino alla scrittura di Jane Austen: Persuasione di Roger Michell, del 1995; inoltre, era quello un periodo di grande slancio verso il recente Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright, quindi abbiamo voluto fare una scelta controcorrente e forse più “difficile”.

2) Tra i vari macrotemi che affronti nella tua tesi ci sono quelli dello spazio (il viaggio, il ruolo del mare, la gita a Lyme Regis, la visione dell’Inghilterra come “homeland”) e del tempo (cronotopi, senso del tempo, valore delle stagioni in Persuasione). Vuoi raccontarci più nel dettaglio la tua trattazione di questi aspetti?
La scrittura austeniana in Persuasione raggiunge vette altissime, venate al contempo di malinconia e speranza: a mio avviso, l’opera aggancia il romanzo dell’Ottocento compiendo quindi un salto significativo rispetto all’impostazione di Orgoglio e pregiudizio. Qui JA dimostra di essere entrata in una nuova prospettiva dopo il “miracoloso equilibrio” tra Sette e Ottocento di cui parla Attilio Bertolucci. Qualcosa scricchiola. Anne Elliot, la protagonista, esprime pienamente il cambiamento in atto nello spazio-tempo in cui è nata e vive; nella società inglese ormai sclerotizzata, la donna recepisce e sente proprie le istanze di una nuova collettività che va nascendo, ben rappresentata dagli uomini della Marina. Il tempo (della Storia e del romanzo) trascorre in un ben preciso cronotopo, stabilito da quanto sta accadendo in Europa in relazione alla figura di Napoleone Bonaparte: l’ambientazione, come scrive Ornella De Zordo, “è quella di una Bath frequentata da aristocratici, alta borghesia e ufficiali reduci dalle guerre napoleoniche”. È la prima volta assoluta in cui JA dà indicazioni cronologiche, precisi riferimenti temporali: immediatamente nel primo capitolo, le date relative alla famiglia Elliot nel Baronetage, il libro della nobiltà; l’età di Sir Walter “adesso” (54 anni). Dall’incrocio dei due dati si arguisce subito il tempo della storia, il cronotopo in cui è ambientato il romanzo: 1814; a grappolo, altre indicazioni e precisazioni (sempre nel primo capitolo) informano il lettore dell’età dei protagonisti e del tempo vissuto al momento (oggettivo e soggettivo). Si scopre anche la stagione in corso: è estate. È l’estate del 1814: cronotopo cruciale per l’Europa tutta, con Napoleone “confinato all’Isola d’Elba”, come spiega l’Ammiraglio Croft all’inizio del film di Michell. Sono trascorse anche le stagioni interiori di Anne e la Nostra le rivede come in un film, in una narrazione interna che pare un flusso di coscienza, ben reso – devo dire – dallo sguardo in macchina nell’adattamento del 2007, che comunque – ne parlo dopo – fa difetto rispetto a quello di Michell. Anne, animo sensibile, ha ben chiari gli sbagli del passato; si muove tra scenari differenti – Kellynch Hall, Uppercross, Lyme Regis, Bath –, ma nessun posto fino in fondo è casa sua, neanche la dimora di famiglia, dove il comportamento meschino di padre e sorella le ricordano ogni giorno la grande assente, la buona madre defunta, la cui grave mancanza purtroppo non è in qualche modo sopperita dalla madrina. Lady Russell non l’ha sostenuta in passato nel suo amore per il Capitano Wentworth; spesso anche nel presente si rivela una figura scoraggiante. Ma rivedendo il Capitano, in un’età ormai matura, spostandosi inoltre di casa in casa, Anne ricostruisce – in maniera infine salda – la sua identità interiore, che nulla ha a che fare con titoli o proprietà ed è al passo con i tempi. È un bagaglio interiore “trasportabile” che – stavolta sì – colora diversamente le stagioni a venire, il trascorrere futuro del tempo. I personaggi piatti restano incartapecoriti nel loro mondo sclerotizzato, in un cronotopo fisso, bloccato; gli altri “prendono il mare” perché hanno capito che qualcosa è cambiato e tutto scorre. La chiusa del film di Michell – Anne e il Capitano sul vascello, in mare aperto – rende bene questa idea ed è una efficace, intensa immagine: ecco la “casa” di Anne.

3) Un paragrafo della tua tesi si intitola “Gli specchi di Kellynch Hall”. Quale reputi sia il significato (simbolico, narrativo, etc.) di questo seducente particolare della casa natale di Anne?
Gli specchi di Kellynch Hall, residenza che ha dato i natali agli Elliot e dunque anche ad Anne, costituiscono senza dubbio un seducente particolare, se si pensa al fascino delle dimore d’epoca, ma offrono al lettore – e in questo senso l’oggetto-specchio è usato dalla scrittrice – dicotomia, doppiezza di significato, sulla quale scavare, indagare, con un occhio anche al presente, a riprova dell’attualità di Jane Austen. I tanti specchi nelle stanze di Sir Walter non adempiono certamente alla sola funzione oggettiva per cui sono fabbricati, ma sono tali e tanti da diventare strumenti di vanità nelle mani di un dandy inglese di primo Ottocento, degno rappresentante di quell’aristocrazia provinciale che fa leva solo sulle apparenze sociali ed estetiche. E le seconde, per Sir Walter, non sono meno importanti delle prime: è spassosissimo il monologo che fa a Bath a proposito di quante brutte donne in media egli incrocia passeggiando (e gli uomini non sono da meno). Per l’Ammiraglio Croft – neo-inquilino di Kellynch agli albori della narrazione – la quantità di specchi disseminata nella dimora è invece quantomeno imbarazzante: “Non c’è modo di sfuggire a sé stessi”, dice con arguzia alla moglie. Lo specchio, dunque, è un correlato visivo (per usare il registro specifico della Semiotica del Cinema) e possiede una funzione simbolica in relazione ai personaggi di Sir Walter e dell’antitetico Ammiraglio Croft, portatore dei “valori nuovi” ai quali aderisce anche Anne. Da un punto di vista narrativo, attorno al correlato visivo si creano discorsi che fanno meglio comprendere al lettore dinanzi a quali personaggi si trova. L’oggetto-specchio è utilizzato in maniera funzionale e riuscita dai registi dei due adattamenti anche per “narrare” e rendere compiutamente l’idea di come Anne si senta, molti anni dopo aver subito la “persuasione”: una donna sciupata, pallida, che si guarda per un attimo allo specchio, quasi rifuggendolo. E chiedendosi chi sia realmente, dove sia la sua identità. La smodata ansia da specchio di Sir Walter ricorda quella dell’attuale post moderna “repubblica dei selfie”, espressione del dilagante narcisismo contemporaneo. L’attualità di Austen si fa quindi sentire anche attraverso questo non tanto piccolo particolare: l’uso degli specchi.

4) Un passo del tuo lavoro riporta nel titolo una citazione da Dante: «per seguir virtute e canoscenza». Di cosa tratta questo paragrafo?
Il paragrafo che intitolo con l’espressione dantesca tratta una breve ricognizione sulle politiche di dating appartenenti al XVIII secolo, per giungere a una panoramica sui romanzi austeniani, fino al nostro Persuasion, che propone un ambito variato per leggere la dissidenza, ruotante attorno al matrimonio e alla donna. Si parte dal concetto di “sense e sensibility” per chiedersi: “Come l’ideologia dominante si pone nei confronti della donna e del matrimonio?”. La figura di Mrs Croft è un esempio, un turning point determinante. L’impulso di tutte le eroine austeniane, pur muovendo esse da diversi livelli di consapevolezza, è di “seguir virtute e canoscenza” per giungere alla loro verità.

Le sorelle Elliot con il padre nel film Persuasione (2007)

5) Il tuo lavoro è dedicato all’adattamento cinematografico di Persuasione. Quale delle due versioni hai preferito e per quali motivi?
La versione del ’95 è una pietra miliare; il film di Roger Michell è uscito in Italia l’anno dopo (si rimanda anche alla domanda 7). Ho apprezzato anche la versione del 2007 che fa parte della Jane Austen Season del canale britannico ITV. Per quanto riguarda quest’ultima versione, come ho detto prima, credo che tutto sommato sia stata originale la scelta di optare per lo sguardo in macchina della protagonista mentre scrive un diario, nei momenti intimi, nei quali prende atto dell’atteggiamento di Wentworth; lo spettatore è così coinvolto in una stretta condivisione, mentre Anne gradualmente torna in sé e acquista sicurezza. Ho invece un po’ sorriso di fronte alla sfiatata corsa finale dove non riesce mai a raggiungere Wentworth, che dopo il dialogo chiarificatore (il matrimonio con Mr Elliot è una vox populi e nulla più) pare aver messo il turbo ed essersi improvvisamente dileguato. Appena fuori casa lungo il Royal Crescent, ad Anne viene incontro Miss Smith, venuta a trovarla per svelarle i segreti di Mr Elliot: un dato in più che la colpisce, ma che in questa trasposizione diventa ancor più secondario rispetto alla prima versione, perché la Nostra ha preso comunque la sua decisione e non ha tempo di fermarsi. Inizia a correre a perdifiato, incrocia Harville che le consegna il biglietto di Wentworth. Anne lo legge, riprende a correre, incontra i Croft che le indicano la strada (opposta) presa dal Capitano, e di nuovo l’ormai distrutta ma felice Anne torna indietro e cerca di raggiungerlo. A voler ben vedere, tutta questa corsa nel cuore della geografia di Bath pare una metafora di come, nella vita, i due abbiano dovuto perdersi per trovarsi. Trovo che l’adattamento del ’95 sia più completo perché propone la scena, drammaturgicamente rilevante, del party serale a Camden Place, dove tutti i personaggi sono riuniti e ognuno toglie definitivamente la maschera; trovo abbia un tocco in più, perché dichiaratamente sfrutta al massimo la luce naturale per quanto riguarda la fotografia; per le atmosfere maggiormente venate di malinconia nella prima parte del film, per i visi più naturali e meno artefatti, con le vene, le rughe e gli effetti reali dell’esposizione alle intemperie, nella vita di mare. Essendo una seconda versione cinematografica, la sceneggiatura si è discostata da quella del ’95 anche per quanto riguarda il finale, diverso ma compatibile con la storia scritta da Austen. Anne diventa davvero Lady Elliot (e non grazie ovviamente al matrimonio con il cugino). Proprio Wentworth, ormai ricco, rileva Kellynch Hall, che diviene il suo dono di nozze. Una beffa per tutto il mondo sclerotizzato lasciato a Bath, che in passato aveva rigettato il giovane di belle speranze Frederick Wentworth. Anne torna così alla dimora di famiglia, come l’unica meritevole di viverci. Nella versione di Michell, prende invece il mare nel vascello di suo marito, come Mrs Croft insegna. In entrambe le trasposizioni la colonna sonora è suggestiva, toccante e coerente. I cast hanno un’attitudine recitativa da manuale. È stato fatto un ottimo lavoro di doppiaggio, cosa che non si può dire (aggiungo questa postilla) in relazione all’Orgoglio e pregiudizio della BBC, stranamente ridoppiato per la messa in onda, qualche anno fa, su La Effe: lo storico precedente doppiaggio era infatti perfetto; discorso simile per la Emma con la brava Romola Garai, in cui le voci e l’espressività sono assai appropriate, ma i personaggi si danno del lei o addirittura del tu, e non del voi: un grave scivolone; ottimo lavoro invece per Northanger Abbey con la deliziosa Felicity Jones. Sarebbe auspicabile l’uscita di un dvd italiano con entrambe le versioni di Persuasione, Northanger Abbey ed Emma 2008. Una nota: interpreta alla perfezione Mr Elliot (doppiato ad hoc) l’attore Tobias Menzies, che in Outlander veste i panni dell’odioso Randall.

6) In base a quale parametro tecnico definisci Jane Austen una “sceneggiatrice contemporanea”?
È un dato di realtà: formalmente i romanzi di Jane Austen sono sceneggiature praticamente pronte, su cui fare un lavoro di labor limae. Non sto affermando che limare sia semplice, come la stessa Emma Thompson raccontò in relazione alla scrittura di Ragione e sentimento, testimoniata addirittura in un diario. Ma il grosso lo ha fatto l’eterna penna della ragazza inglese vissuta 200 anni fa, con i suoi dialoghi e il suo “discorso indiretto libero” di cui ha fatto largo uso. Venendo ai contenuti, i film tratti dai romanzi austeniani hanno presa proprio per l’attualità dell’autrice, perché offrono parallelismi, corrispondenze con la società di oggi e paiono fotografie perfette di una sociologa contemporanea, che ha inquadrato i tipi umani: quelli che incontriamo tutti i giorni nel nostro cammino, come spiego nella risposta alla domanda 9.

7) Quali sono a tuo parere le simmetrie che percorrono il romanzo e il film?
Il film ripercorre senza scossoni il romanzo e ne rende le atmosfere, a tratti malinconiche, soprattutto nelle sequenze iniziali, a tratti maggiormente attraversate da una speranza via via più viva, ben espressa, metaforizzata, dal mare e dalla piacevolissima Lyme Regis. Anche il film rende bene, a mio avviso, il gancio tra questo romanzo e il nascente romanticismo, con intenso apogeo nella scena (quasi) finale in cui Anne e Wentworth finalmente si ricongiungono, incrociando il chiassoso, ridente, caotico, armonioso circo giunto a Bath, che copre le loro voci (ma lo spettatore può ben ricordare le belle pagine scritte da Austen). I film hanno il potere di mettere in rilievo maggiormente alcuni aspetti; Michell lo fa quando, la sera della riconciliazione, fa giungere al party a Camden Place un Capitano Wentworth intenzionato a “venire subito al punto”, chiedendo la mano di Anne. Agghiacciante è la risposta del padre-dandy: “Volete sposare Anne? E perché mai?”. Nel romanzo Wentworth giunge al party e in maniera elegante pur distaccata si unisce agli altri, tenendo nel cuore il rappacificamento con Anne e godendone in segreto, in attesa di parlare al padre. Con occhio, regista e sceneggiatore dell’adattamento del ’95 mettono invece in luce nuovamente l’ottusità del padre, la scortesia, l’indelicatezza, in contrapposizione a Wentworth. Due mondi ormai distanti, che interpretano diversamente la Storia e la vita.

8) In Appendice alla tua tesi si trova un’intervista ad Amanda Root, che interpreta Anne Elliot nella versione del 1995. L’intervista è tua o è tratta da una fonte esterna? Puoi riassumercene i contenuti?
Nell’intervista che ho allegato alla tesi, Amanda Root – ottima attrice della più classica scuola inglese – ripercorre la sua interpretazione dell’eroina più respected uscita dalla penna di Jane Austen, ricordando quanto la sua autrice sia “semplicemente senza tempo”. Sottolinea la grandezza della sceneggiatura del film diretto da Michell, le cui prime sequenze furono girate, in maniera coerente, in autunno. Amanda cerca di partecipare ogni anno al “Jane Austen Festival” a Bath.

9) La tua tesi si apre con una serie di considerazioni sull’attualità di Jane Austen. Ce le vuoi riassumere?
Jane Austen già negli anni Novanta era pop, come è evidente ripercorrendo il cosiddetto Austen Boom. Lo sintetizza bene quella famosa immagine di fine anni ’90 in cui la scrittrice è sul lettino a bordo piscina e sorseggiando un cocktail parla al cellulare (il primo in commercio, quello che con affetto io chiamo citofono). Negli anni Zero la scrittrice e i new media si sono letteralmente presi per mano e corrisposti, camminando insieme. E Austen è diventata social. La sua scrittura, i contenuti, la sua stessa biografia hanno saputo meravigliosamente adattarsi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, come già quell’immagine a bordo piscina faceva pensare. O, forse, tutto il pacchetto Jane Austen era in trepida attesa dell’esplosione del web e della rivoluzione digitale. Raccontando in maniera arguta e sublime i vizi e vezzi di uomini e donne, la scrittrice accompagna i lettori – quelli che vogliono condividere con lei lo spasso –, ieri come oggi, anzi attualmente ancor di più (dopo la pruderie ottocentesca), dal momento che i social media sono pervasivi. Altri pur grandi scrittori danno l’impressione di essere relegati ad occupare un prezioso posto in libreria, bloccati però nel loro momento, nel loro secolo. Ma l’immensità di Jane Austen sta nel fatto di essere scesa in strada con noi, di aver fotografato la vita quotidiana con briosi e sagaci flash, con taglienti, dolci e profonde locuzioni. Ne sono la prova i tanti adattamenti, di diverso tipo, che hanno costellato cinema e TV soprattutto in questi ultimi 20 anni e più, da quelli classici ai film non tratti dalle sue opere, ma che le tematizzano; fino al vampiresco Orgoglio e Pregiudizio e Zombie, con il romanzo contaminato dalla moda corrente. Ma non solo: ne è una prova anche tutta la rielaborazione post moderna della scrittrice, dalle riviste ai romanzi spin-off, ai graphic novels, all’e-commerce con i prodotti di merchandising, fino a giungere alle app per lo smartphone. Lunga vita a Jane d’Inghilterra!

JASIT ringrazia ancora una volta Alessandra per la sua disponibilità.

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