Come comincia? Gli incipit di Jane Austen

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Snoopy non poteva trovare modo migliore per cominciare, visto che il famoso “Call me Ishmael” di Moby Dick  è uno degli esempi più famosi e citati di incipit che si scolpiscono nella memoria del lettore.
Gli incipit sono un po’ i gesti di benvenuto di una narrazione, la porta d’ingresso che oltrepassiamo per addentrarci poi nel libro, nel racconto che lo scrittore ha estratto da un mondo “dato in blocco, senza un prima né un poi”, come scrive Italo Calvino nell’Appendice alle sue Lezioni americane:

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo, una somma di informazioni, di esperienze, di valori – il mondo dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo. Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati dalla letteratura, gli stili in cui si sono espressi civiltà e individui nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline più varie, finalizzati a raggiungere le più varie forme di conoscenza: e noi vogliamo estrarne il linguaggio adatto a dire ciò che vogliamo dire, il linguaggio che è ciò che vogliamo dire.

Le tipologie di incipit sono moltissime. Talvolta sono fulminanti, come nel caso del romanzo di Melville (tre parole in inglese, addirittura due nella traduzione italiana), altre volte più lunghi e articolati; alcuni sembrano un po’ anonimi, come se lo scrittore non volesse scoprire nessuna carta in anticipo; altri ci portano direttamente nel cuore della vicenda, come se fossimo improvvisamente testimoni di un avvenimento che succede davanti ai nostri occhi; altri ancora preparano il terreno, con descrizioni più o meno estese che ci rendono familiare lo scenario dell’azione; e così via, con un’estrema varietà di tecniche narrative che, comunque, dovrebbero tutte avere lo scopo di attirare la nostra attenzione per indurci a continuare la lettura.
Se volete leggerne un po’, senza scomodarvi a tirare giù i libri dai vostri scaffali, potete girovagare per il sito che ho creato nel 1997, e che ora ne conta più di quattromila: incipitario.com

Ma veniamo a noi, o meglio a Jane Austen, cominciando col mettere in fila gli incipit dei sei romanzi canonici (le immagini degli incipit originali sono quelle delle prime edizioni):

Sense and Sensibility
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Ragione e sentimento
La famiglia Dashwood si era da tempo stabilita nel Sussex. Avevano una vasta tenuta e risiedevano a Norland Park, al centro della proprietà,

Pride and Prejudice
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Orgoglio e pregiudizio
È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un’ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie.

Northanger Abbey
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L’abbazia di Northanger
Nessuno che avesse conosciuto Catherine Morland nella sua infanzia avrebbe mai immaginato che fosse nata per essere un’eroina.

Mansfield Park
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Mansfield Park
Circa trent’anni or sono, Miss Maria Ward, di Huntingdon, con sole settemila sterline di dote, ebbe la fortuna di attrarre Sir Thomas Bertram, di Mansfield Park,

Emma
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Emma
Emma Woodhouse, bella, intelligente e ricca, con una casa confortevole e un buon carattere, sembrava riunire in sé alcune delle migliori benedizioni dell’esistenza,

Persuasion
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Persuasione
Sir Walter Elliot, di Kellynch Hall, nel Somersetshire, era un uomo che, per suo diletto, non prendeva mai in mano altro libro che il Baronetage;

La cosa che emerge con più evidenza, leggendoli uno di seguito all’altro, è la presenza di nomi di personaggi, come se l’autrice volesse subito introdurci nelle vicende che seguiranno senza troppi preliminari e, nel contempo, mettere in evidenza l’importanza primaria delle “persone”, dell’ambiente sociale.
In tutti gli incipit, meno uno, sono infatti citati dei personaggi del romanzo. In due (L’abbazia di Northanger ed Emma) direttamente l’eroina della storia; in altri due (Mansfield Park e Persuasione) rispettivamente i coniugi Bertram, che accolgono l’eroina e ne diventano praticamente la famiglia, e Sir Walter Elliot, padre dell’eroina; in Ragione e sentimento è citata invece genericamente la famiglia Dashwood, un indizio che può prepararci a un romanzo nel quale la figura dell’eroina è sdoppiata in due sorelle; il “meno uno” si riferisce ovviamente a Orgoglio e pregiudizio, dove però sono implicitamente suggeriti sia l’argomento che dà il via alla vicenda: la ricerca di un marito per le loro figlie da parte di tutte le famiglie che ne hanno qualcuna da accasare, sia i due personaggi maschili principali: Bingley, lo scapolo il cui arrivo nel vicinato entusiasma Mrs. Bennet, e Darcy, l’altro scapolo, che seguirà un percorso personale più accidentato prima di impalmare l’eroina.

La scelta di privilegiare le “persone” è in perfetto accordo con la tecnica narrativa di Jane Austen, che affida il racconto principalmente alla descrizione dei rapporti interpersonali, con abbondanza di discorso diretto e indiretto dal quale far emergere i caratteri dei personaggi, come se “il narratore” fosse un testimone nascosto che non si sofferma quasi mai a “raccontare” autonomamente, ma preferisce dipanare le fila della vicenda facendo, appunto, interagire i personaggi che ne sono via via protagonisti o comprimari, pur usando talvolta l’espediente di rivolgersi direttamente al lettore, quasi mai però per raccontargli qualcosa della storia, ma come per riflettere insieme a lui su alcuni aspetti della vicenda. Una tecnica, quest’ultima, largamente usata nel romanzo inglese del Settecento, basti pensare ai frequenti incisi del narratore nel Tom Jones di Henry Fielding.
Non a caso, nei suoi romanzi le descrizioni degli scenari dell’azione sono sempre molto brevi, a parte qualche caso specifico, come la visita di Elizabeth Bennet a Pemberley, dove il luogo diventa una sorta di specchio in cui vedere il riflesso del vero carattere di Darcy, come scrive David Shapard in una nota a un’edizione di Pride and Prejudice da lui curata:

Queste descrizioni di Pemberley, che proseguiranno nel corso del capitolo, costituiscono l’unico punto del romanzo in cui Jane Austen si discosta dalla sua abituale riluttanza a fornire dettagliate descrizioni dei luoghi. La ragione di questa deviazione è che le caratteristiche fisiche di Pemberley giocano un ruolo cruciale nella trama, sia perché illustrano il carattere di Darcy, sia perché la reazione di Elizabeth di fronte a queste caratteristiche la porta a modificare il suo atteggiamento nei confronti di lui.”
(The Annotated Pride and Prejudice, annotated and edited by David. M. Shapard, Anchor Books, New York, 2007, pag. 449)

Ovviamente la lettura di questi incipit suggerisce anche riflessioni meno generali, più legate a ciascun romanzo.
Come abbiamo visto, in due casi viene citata direttamente l’eroina, ma tra le due brevi descrizioni di Catherine Morland ed Emma Woodhouse ci sono differenze sostanziali. Il tono del primo brano preannuncia molto chiaramente l’intento parodico che sarà predominante in tutto il romanzo, mentre nel secondo le parole riservate a Emma dipingono, con concisa precisione, il carattere di una protagonista della quale Jane Austen disse (almeno così viene tramandato dalla tradizione familiare): “Ho scelto un’eroina che non piacerà molto a nessuno tranne me.” (James Edward Austen-Leigh, Ricordo di Jane Austen, cap. X). In effetti un’eroina troppo bella, troppo ricca, troppo intelligente, e che per di più, come si legge nel prosieguo dell’incipit: “era al mondo da quasi ventun anni con pochissimo ad affliggerla o contrariarla”, sembra l’esatto contrario delle eroine tormentate e vittime di innumerevoli sventure e colpi di scena che avevano popolato il panorama letterario precedente.

L’inizio di Persuasione è perfetto: in una riga l’autrice dipinge con fulminante precisione il carattere di Sir Walter Elliot, “un uomo che, per suo diletto, non prendeva mai in mano altro libro che il Baronetage”, ovvero l’Albo dei Baronetti, l’unica lettura che potesse soddisfare un uomo vanesio, attento solo alle apparenze, la cui mente ristretta, tramandata alla figlia maggiore, non va al di là di un orgoglio di classe che lo porta a trattare con disprezzo gli inferiori e con untuoso servilismo chi è al di sopra di lui, come Jane Austen fa dire alla figlia Anne, delusa dal comportamento del padre e della sorella nei confronti di Lady Darlymple:

Anne non aveva mai visto il padre e la sorella a contatto con la nobiltà, e dovette ammettere di sentirsi delusa. Aveva sperato di meglio dalle loro idee di grandezza rispetto alla posizione sociale che ricoprivano, e si ridusse a desiderare qualcosa che non aveva mai previsto, a desiderare che mostrassero più orgoglio, poiché le frasi “le nostre cugine Lady Dalrymple e Miss Carteret”, “le nostre cugine Dalrymple”, le risuonavano all’orecchio per tutto il giorno.
(Persuasione, cap. 16)

Gli incipit di Ragione e sentimento e Mansfield Park, anche se forse meno caratterizzati, assolvono comunque perfettamente al compito di introdurci al romanzo. Il primo è il più descrittivo dei sei, visto che prosegue informandoci brevemente dell’antefatto, ovvero delle vicende dell’ultimo proprietario prima dell’Henry Dashwood padre delle due eroine, un antefatto che in questo caso è essenziale per dare inizio alla narrazione vera e propria. Il secondo è simile, in quanto il fortunato matrimonio di Maria Ward è seguito dalla descrizione della sorte meno favorevole toccata alle sue due sorelle, descrizione funzionale a presentare i tre cardini dai quali si svilupperà poi la vicenda di Fanny Price: la famiglia Bertram, che l’accoglierà a Mansfield Park, il personaggio di Mrs. Norris, che sarà l’antagonista “familiare” (insieme a Miss Crawford, la rivale in amore), e la famiglia Price, dove Fanny tornerà per subire un doloroso disinganno rispetto alle sue aspettative.

A questo punto, per completare questo breve excursus tra gli incipit austeniani, dobbiamo citare quelli delle opere diverse dai sei romanzi canonici, ovvero le opere giovanili e i due romanzi incompiuti. Dei cosiddetti “Juvenilia” vedremo quelli dei due “romanzi” compresi nel terzo dei volumi manoscritti lasciati dall’autrice, in quanto gli altri sono componimenti brevi, alcuni brevissimi, e i due più corposi: Amore e amicizia e Lesley Castle sono in forma epistolare, e quindi non hanno veri e propri incipit. La stessa cosa vale per Lady Susan, che è appunto in forma epistolare ed è anche l’unico vero e proprio romanzo compiuto oltre ai sei canonici, anche se con una conclusione scritta diversi anni dopo la stesura iniziale, che può far pensare più alla decisione di terminare in qualche modo una narrazione in realtà incompleta che a una chiusura vera e propria.

Vediamo dunque questi quattro incipit (stavolta le immagini sono quelle dei manoscritti, tratte dal sito Jane Austen’s Fiction Manuscripts):

Evelyn (1791)
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Evelyn (1791)
In una zona appartata della Contea del Sussex c’è un villaggio (per quanto ne so) chiamato Evelyn, forse uno dei più bei Posti del sud dell’Inghilterra.

Catharine, or the Bower (1792)
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Catharine, ovvero la pergola (1792)
Catharine aveva avuto la disgrazia, come molte eroine prima di lei, di perdere i Genitori quando era giovanissima, e di essere affidata alla tutela di una Zia Nubile,

The Watsons (1804)
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I Watson (1804)
Il primo ballo invernale nella città di D., nel Surrey, era in programma per martedì 13 ottobre, e tutti si aspettavano una bellissima serata;

Sanditon (1817)
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Sanditon (1817)
Un gentiluomo e la sua signora, in viaggio da Tunbridge verso quella parte del Sussex che si trova fra Hastings e Eastbourne, indotti da degli affari a lasciare la strada principale e ad affrontare una stradina molto dissestata, si rovesciarono mentre risalivano a fatica un lungo pendio frammisto di rocce e sabbia.

L’inizio di Evelyn mi ha sempre fatto pensare all’incipit più famoso della letteratura italiana, che i venticinque lettori di questo articolo (sia pure diversi da quelli del romanzo di cui sto parlando, se non altro per ragioni anagrafiche) sicuramente conoscono più o meno a memoria:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; …
[due pagine dopo]
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, …

L’accostamento può sembrare bizzarro, ma a me è sempre venuto spontaneo considerare le due righe austeniane un riassunto estremamente conciso delle due pagine manzoniane, perché poi si legge: “Un Gentiluomo che passava di lì a cavallo circa vent’anni fa, fu esattamente della mia stessa opinione in proposito, …”, ovvero qualcosa di molto simile a “Per una di queste stradicciole…”.
A parte questa suggestione austenian-manzoniana, l’incipit può essere considerato una conferma dell’estrema asciuttezza di Jane Austen nel descrivere i luoghi: qui si limita a citarne il nome e a dire genericamente che è “forse uno dei più bei Posti del sud dell’Inghilterra”.

In Catharine troviamo alcune somiglianze con i due incipit dei romanzi nei quali è citata direttamente la protagonista femminile; come ne L’abbazia di Northanger se ne cita il nome e la qualifica di eroina, mentre rispetto a Emma la descrizione è più conforme alle regole, visto che Catharine, se non altro, aveva avuto “la disgrazia di perdere i Genitori”.

Nei due incompiuti invece gli incipit si discostano da quelli dei canonici, anche se, ovviamente, non sappiamo se i due romanzi sarebbero cominciati così nella versione definitiva. In entrambi siamo subito in medias res, alla vigilia di un ballo nel primo, e durante un viaggio che si interrompe per un incidente nel secondo.
Per I Watson, scritto durante la permanenza di cinque anni e mezzo a Bath, non sappiamo nulla circa i motivi che fecero decidere a Jane Austen di lasciarlo incompiuto. Il fatto che a Chawton l’autrice abbia preferito lavorare sulle stesure iniziali di Ragione e sentimento (Elinor and Marianne) e di Orgoglio e pregiudizio (First Impressions), per poi dedicarsi ai tre cosiddetti Chawton Novels (Mansfield Park, Emma e Persuasione), fa pensare che non sia stato ritenuto adatto a essere ripreso, anche perché la bozza è piuttosto corta (una cinquantina di pagine nelle edizioni moderne), e concluderlo avrebbe comportato un lavoro lungo e comunque diverso da quello di rivedere i due romanzi già scritti, delle cui stesure iniziali, comunque, non sappiamo praticamente nulla.

Per Sanditon il discorso è completamente diverso. Nel manoscritto ci sono due date precise: l’inizio il 27 gennaio 1817 e l’ultima pagina con la data 18 marzo, epoca in cui Jane Austen era ormai quasi completamente debilitata dalla malattia che la condurrà alla morte quattro mesi dopo. La novità di questo incipit diverso dagli altri è il segno di una diversità che permane anche nei capitoli che ci sono rimasti, dove viene trattato un argomento: un’attività imprenditoriale che cerca di cambiare un piccolo paese sul mare nel tentativo di farlo diventare una località balneare alla moda, che sembra allargare il mondo austeniano a fenomeni sociali mai trattati in precedenza, con esiti che, purtroppo, non saremo mai in grado di conoscere.

Come concludere un articolo sugli incipit? Be’, nel modo più naturale, ovvero citando le prime parole scritte dall’autrice, o meglio l’inizio di quella che è probabilmente la sua prima opera pervenutaci. Si tratta ovviamente di una delle opere giovanili, Frederick ed Elfrida, scritta presumibilmente nel 1787, quando Jane Austen non aveva ancora compiuto dodici anni:

Frederick and Elfrida (1787)
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Frederick ed Elfrida (1787)
Lo Zio di Elfrida era il Padre di Frederic; in altre parole, erano cugini da parte di Padre.
Essendo tutti e due nati nello stesso giorno ed educati nella stessa scuola, non destava meraviglia che guardassero l’uno all’altra con qualcosa di più della semplice buona educazione. Si amavano con mutua sincerità, ma erano tutti e due determinati a non trasgredire le regole del Decoro confessando il loro attaccamento, sia all’oggetto amato, sia a chiunque altro.
Erano straordinariamente belli e talmente somiglianti, che nessuno riusciva a riconoscerli separatamente. Anzi, persino i loro amici più intimi non avevano altro per distinguerli, se non la forma del viso, il colore degli Occhi, la lunghezza del Naso, e la diversità della carnagione.

Così cominciò il viaggio di Jane Austen nel mondo della letteratura. Un viaggio che per lei durò altri trent’anni, e che per noi non si è mai interrotto. A più di due secoli da quelle prime parole scritte da una ragazzina vivace, curiosa e già piena di spirito, la fila per fare il biglietto e viaggiare insieme a lei non si è mai esaurita, anzi, si allunga sempre di più.

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12 commenti

  1. Complimenti! Bellissimo, mi è piaciuto moltissimo. Considero un capolavoro di sintesi esplicativa l’incipit di Sanditon (oltre al famosissimo e citatissimo di P&P). A proposito, ho letto che quello dell’incidente in carrozza era un espediente letterario molto usato dai romanzieri, oltre che per movimentare l’azione narrativa, anche quale controprova di realismo (vs idealismo), di verosimiglianza del racconto perché appunto trattavasi di incidente molto frequente.

    1. In effetti gli incidenti in carrozza dell’epoca erano forse più frequenti degli incidenti stradali odierni. Nella cerchia di JA ce ne furono almeno due che si conclusero tragicamente: la cugina Jane Cooper, all’epoca Lady Williams, e l’amica “Madame” Lefroy (anche se in quest’ultimo caso si trattò di una caduta da cavallo).
      In “Persuasione” il tema è trattato in modo scherzoso, quando si parla delle spericolate passeggiate in calesse dei coniugi Croft.

  2. argomento molto stimolante e accattivante e naturalmente bene trattatto! la conclusione poi… una chicca!
    complimenti!
    scusa la stupidità della domanda, perchè settemila sterline di dote di Mrs. Ward erano poche?
    le rendite di Darcy e Bingley erano rispettivamente di 10.000 e 5.000! certo in quel caso ALL’ANNO, e la dote invece era una tantum ma comunque non mi sembra poi malaccio!
    altra domanda stupida… in che senso i 25 lettori di questo articolo? perchè pensi siano così pochi?

    1. All’epoca le valutazioni economiche erano molto rigide. Una dote di settemila sterline, pur non essendo insignificante, rendeva circa 350 sterline l’anno ed evidentemente lo zio avvocato non la considerava sufficiente per accalappiare un baronetto. Facendo il confronto con gli altri personaggi femminili di JA (puoi trovare tutte le rendite, maschili e femminili, qui: http://www.jausten.it/jaindrendite.html) si può vedere come Maria Ward sia piuttosto in basso nell’elenco.
      I 25 lettori erano uno scherzoso richiamo al primo capitolo dei Promessi sposi (“Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato.”), citato a proposito dell’incipit di Evelyn.

      1. ora è molto più chiaro il discorso sulle rendite! povere sorelle bennet!!!
        ho capito anche il richiamao ai 25 lettori, non avevo colto!
        grazie!

        1. In effetti, le sorelle Bennet stavano messe proprio male! D’altronde, uno dei temi del romanzo è proprio la forza della bontà (Jane) e dell’intelligenza (Elizabeth) rispetto alla ricchezza.

  3. E’ un vero godimento leggere un’articolo così interessante. Un approfondimento sull’incipit non l’avevo mai sperimentato e devo dirmi piacevolmente sorpresa dal vedere quante interessanti considerazioni e confronti si possono fare su un numero così contenuto di parole.
    Di rado memorizzo gli incipit pur riconoscendone ovviamente l’importanza. Se devo citarne uno è l’unico che ricordo a mente, di un grande classico come Piccole donne, che inizia (almeno nella traduzione che ho letto ed amato da ragazzina) con un discorso diretto che ci catapulta immediatamente nell’atmosfera del momento: “Un natale senza regali non è natale!”brontolò Jo sdraiata sul tappeto. Inoltre introduce subito uno dei personaggi fondamentali (se non la protagonista) del romanzo, tratteggiandone già qualcosa..una signorina sdraiata sul tappeto non è proprio un tipo convenzionale.
    Scusate la digressione!Concludo solo aggiungendo che lo stile di Jane così asciutto nelle descrizioni degli ambienti ma focalizzato sui personaggi è una delle cose che più amo di lei.

    1. L’incipit di “Piccole donne” è un ottimo esempio di inizio in “medias res”, e quel “Jo sdraiata sul tappeto” in effetti dà subito l’idea del carattere della protagonista del romanzo.

  4. A proposito dell’analogia con l’incipit manzoniano, se leggiamo quello di Ivanohe di Scott ecco trovato il trait d’union per nulla azzardato secondo me:
    In quel bel distretto della lieta Inghilterra che è bagnato dal Don , si estendeva negli antichi tempi una vasta foresta che copriva la maggior parte delle amene colline e vallate tra Sheffield e la bella città di Doncaster…

  5. Sig. Ierolli, grazie per questo bell’articolo. Davvero interessante. Mi complimento anche per il Suo incipit che vi porta subito in argomento e con estremo brio. Degno dunque della nostra cara Jane Austen!

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