Introduzione a Emma

Quest’anno cade il bicentenario della prima edizione di Emma (23 dicembre 1815), anzi, in effetti si tratta di un bicentenario che, come accadrà per i due romanzi postumi, si estenderà anche all’anno successivo, visto che l’edizione, pur se uscita alla fine del 1815, riporta come anno di pubblicazione il 1816.
Per cominciare i festeggiamenti di questo doppio bicentenario vi proponiamo l’Introduzione di Giuseppe Ierolli alla sua traduzione di Emma nel sito jausten.it, dove è ricostruita la storia editoriale del romanzo e sono riportate le numerose citazioni che Jane Austen gli ha dedicato nelle sue lettere.

Emma - 1816

In un manoscritto di poco successivo alla morte di Jane Austen, la sorella Cassandra trascrisse le date di inizio e fine del lavoro di scrittura dei sei “romanzi canonici”. Per Emma leggiamo: “iniziato il 21 gen. 1814, finito il 29 marzo 1815”. Nei mesi successivi il fratello Henry contattò John Murray, uno dei principali editori di Londra (con lui pubblicavano, fra gli altri, Byron e Walter Scott), e proprietario di una prestigiosa rivista letteraria, la “Quarterly Review”.

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Chi era la madre di Harriet Smith?

Pubblichiamo oggi un articolo tradotto da Persuasions #7 del 1985: “The word was blunder”: Who was Harriet Smith’s Mother?, di Edith Lank, una riflessione sui nomi di battesimo utilizzati da Jane Austen con una piccola burla.

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“La parola è un indizio”: Chi era la madre di Harriet Smith?

Più di un critico ha notato che Emma può essere considerato un romanzo mystery puro e semplice. Indizi abilmente intrecciati nella trama del romanzo possono facilmente passare inosservati, in modo che a ogni rilettura ci si ripete deliziati: “Ma certo, come mai non me n’ero mai accorto prima?”
Eppure, in 170 anni in cui il libro è stato studiato (l’articolo è del 1985, N.d.T.), nessuno ha colto l’indizio, lasciato maliziosamente in bella vista da Jane Austen, circa l’identità della madre di Harriet Smith.

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L’aspetto fisico in Jane Austen. Niente dita di mani o piedi

Abbiamo tradotto per voi un articolo tratto da Persuasions #13 del 1991, Jane Austen Images of the Body: No Fingers, No Toes di Carol Shields (Department of English, University of Manitoba, Winnipeg A3T 2N2).

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L’aspetto fisico in Jane Austen. Niente dita di mani o piedi ¹

“Una metà del mondo non riesce a capire i piaceri dell’altra metà” dice Jane Austen tramite la sua eroina Emma Woodhouse (Emma, cap. 9), e una lettura di Emma suggerisce che l’autrice appartiene a quella metà del mondo che è indifferente alle apparenze fisiche. Le sue complicazioni e svolte narrative vengono generate per caso o in seguito a un ragionamento e mai per necessità o per reazione corporale. Il cervello – poiché Jane Austen si riferisce spesso a quel particolare organo materiale – comanda sul resto del corpo, che viene trattato con cosa? Indifferenza? Mancanza di curiosità? Noncuranza? O forse una metaforica scrollata di spalle che quasi lo cancella. Altrimenti la sua strategia, che sia consapevole o meno, punta a valori che lei crede siano di supporto a una comunità rispettabile di individui.

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Il microcosmo austeniano come modello narrativo

Il nostro recente articolo Orgoglio e pregiudizio cinquant’anni dopo ha esaminato il rapporto tra il romanzo più noto di Austen, di cui abbiamo festeggiato quest’anno il bicentenario, e Nord e sud di Elizabeth Gaskell, che negli ultimi mesi ha raggiunto anche in Italia la meritata notorietà, grazie alla traduzione curata dalla casa editrice indipendente Jo March e alla messa in onda con doppiaggio in italiano (LaEffe) dello sceneggiato della BBC. Questa analisi ha aperto un percorso interpretativo molto interessante, del quale vogliamo oggi studiare un ulteriore aspetto.

8Le somiglianze biografiche tra le due autrici sono molto scarse: sebbene entrambe fossero figlie di ministri della chiesa, la loro infanzia e giovinezza trascorsero in modo completamente diverso: Gaskell fu moglie, madre, viaggiatrice e protagonista della scena letteraria contemporanea; Austen, come ben sappiamo, no. Entrambe ebbero fratelli arruolati in marina (Gaskell uno, Austen due) e un sentimento contrastante nei confronti del mare traspare in molte delle loro storie: basti pensare al personaggio di Frederick Hale di Nord e sud, condannato all’esilio per via di un ammutinamento, o a Gli innamorati di Sylvia, il romanzo storico di Gaskell, impegnato proprio a studiare l’influenza del mare sulla vita degli individui; e, per quanto riguarda Austen, a Persuasione, solo per citare il più rilevante. Ma il destino che il mare riservò alle loro famiglie fu ben diverso: se Frank e Charles Austen fecero fortuna grazie alla navigazione, John Stevenson (il fratello di Elizabeth) fu dato per disperso nel naufragio di una delle navi della Compagnia delle Indie, e di lui non si ebbero più notizie.

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Jane Austen e la teoria letteraria: una riflessione

Che le opere di Jane Austen possano essere annoverate fra i classici immortali della letteratura mondiale è ritenuto un dogma, è assodato, è fuori discussione. Quale sia la natura di un “classico letterario”, e quali definizioni potrebbero essere associate a questo termine potrebbe però essere oggetto di una lunga e articolata riflessione. È mio parere che uno dei parametri validi per giudicare l’immortalità e la grandezza di un’opera letteraria sia la possibilità di leggerla da una molteplicità di punti di vista, persino poco pertinenti l’uno con l’altro. Se, come sosteneva Calvino nella sua celeberrima osservazione, “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha dire”, si può affermare che un’opera soggetta a quante più possibili interpretazioni critiche deve essere definita un classico.

Sfogliando una qualsiasi bibliografia austeniana, come può essere quella che abbiamo inserito nella nostra pagina “Bibliografia italiana”, o nella nostra “Study Guide”, o la sistematica bibliografia redatta annualmente dalla Jane Austen Society of North America (consultabile fra i vari articoli della loro rivista online, “Persuasions”), è facile notare – anche semplicemente con un’occhiata ai titoli dei vari contributi – che almeno i sei romanzi canonici sono stati e sono tuttora oggetto di studi critici che derivano dalle più svariate scuole di pensiero. Non tutte le opere di narrativa sono così ricche di significato da poter godere di un simile trattamento.

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Abnegazione e dispotismo della malattia in Emma

Traduciamo oggi l’articolo di Monica Fairview apparso il 7 agosto su Roof Beam Reader.

ABNEGAZIONE E DISPOTISMO DELLA MALATTIA IN EMMA

Naturalmente chiunque conosca un po’ Emma sa che Mr Woodhouse è il peggiore degli ipocondriaci. Eppure basta soltanto un paragone superficiale fra Mr Woodhouse e Mary Musgrove in Persuasione per capire come mai Mr Woodhouse sia così benvoluto malgrado le sue ossessive fobie riguardanti la salute. Al contrario di Mary, che utilizza la malattia a suo personale ed egoistico vantaggio, la preoccupazione di Mr Woodhouse per la salute di tutti è di larga portata. Si estende addirittura ai cavalli che portano Isabella e John Knightley a Hartfield.

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Come lettori riusciamo ad accettare Mr Woodhouse come non potremmo mai accettare Mary. Lui è una gentile fonte di divertimento, ma Jane Austen non lo sottopone mai alla sferzante frusta del suo giudizio. Tutti a Highbury conoscono le sue ansie – “i vicini sapevano quanto gli piacesse che ci si informasse di lui” (capitolo 39) – ed essi sono felici di fargli questa cortesia, dal momento che l’agitazione di Mr Woodhouse per gli altri si traduce in termini concreti – come, per esempio, rifornire le Bates di tagli di carne dei maiali di Hartfield, dal momento che considera quei maiali più sani degli altri.

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